Mondo
La forza delle lacrime
Quante persone abbiamo visto piangere in questo 2003? E a quanti le abbiamo asciugate?
“Sei il primo cui scrivo dell?ultima volta in cui ho visto Mario e perciò devo scansare il foglio dalla traiettoria delle lacrime”. Scrive così: traiettoria. Termine militare, diretto, buono per esprimere precisione, non quella pietas che il cordoglio almeno esigerebbe. Una balistica del pianto che Desdemona Lioce, la brigatista che dal carcere di Sollicciano si rivolge all?ex fidanzato Luigi Fuccini, usa per riassumere una commozione, di lutto e di ricordo. Forse si dovrebbe guardare alla realtà, alla cronaca, alla storia, solo attraverso la lente deformante e un po? appannata delle lacrime. Servono molto e hanno grandi significati, specie in tempi di siccità, a volte faticano a scendere e allora serve qualcuno che le tiri su, oltre che qualcuno che magari le asciughi. Le lacrime sono il filo rosso che hanno legato avvenimenti recenti di questo Paese, luttuosi come la morte dei militari italiani in Iraq, artistici come il particolare del Genio funerario scelto come copertina della mostra dedicata ad Antonio Canova nel museo di Bassano del Grappa, ma che diventano anche un codice alfabetico e umido per leggere e capire l?ultimo pezzo di storia delle Brigate Rosse. Le Br, prese non dal filo della cronaca giudiziaria o politica, ma da quello della pietas, della compassione, della disabitudine a piangere, o solo a patire. Le cronache ripropongono ferite non chiuse, buone per riaprire (o semplicemente aprire) sacche lacrimali di varie generazioni. Eppure ci sono state lacrime che hanno provocato divisioni, giudizi divergenti. Ad esempio si sono scritti articoli e aperti dibattiti, su giornali e siti internet, sulla sincerità delle lacrime di Chiara, la protagonista di Buongiorno notte di Marco Bellocchio, capace di commuoversi per i canarini o per quell?uomo, Aldo Moro, prigioniero nel suo appartamento. Lacrime filmiche nelle quali qualcuno ha ravvisato un barlume di umanità, altri solo il tentativo di rivisitare un?esistenza disperata e feroce, quella di Laura Braghetti, che forse pianse per la fine di Moro ma capace, solo due anni più tardi, di uccidere come un cane il professor Vittorio Bachelet, sulle scale dell?università. Hanno pianto, dicono le cronache, le compagne e i mariti dei nuovi brigatisti, che avevano una doppia vita nascosta perfino ai conviventi. Ma per i militanti e per i simpatizzanti, nemmeno la morte giustifica le lacrime. La Lioce ad esempio ha visto morire il ?compagno? Mario Galesi, una domenica mattina di marzo, a bordo di un treno regionale, dove rimase ucciso anche un poliziotto, Emanuele Petri. In un?intervista a Repubblica, Sergio Segio, tra i fondatori di Prima Linea, ha parlato dell?enorme differenza che separa le utopie e la realtà di questi nuovi brigatisti, che comporta un morire al netto delle lacrime, senza funerale, senza pietà umana. Uno iato che magari fa sì che il tuo nome venga vergato da più mani sui muri, promettendo rispetto, ricordo eterno, quando non vendetta, ma nessuno che ti accompagni nell?ultimo viaggio, nessuno che ti possa piangere in pubblico. Il massimo è il pensiero della Lioce, che per la tomba dell?amico, a Trespiano, vicino Firenze, temendone l?oltraggio, consiglia un materiale semplice ma resistente, travertino, ad esempio, e suggerisce addirittura una pellicola antivernice per proteggerla dalle bizzarrie del tempo ma soprattutto degli uomini. Sa che a bagnare o scolpire qualsiasi materiale non saranno le lacrime, ma forse gli imbrattamenti, “e in questo caso ci vorrebbe un intervento tempestivo”. E il nome, scrive, sia scolpito, né targa né bassorilievi perché potrebbero essere divelte, rovinati. Nessuna lacrima per chi è morto o per chi si è ucciso, ma paura di atti vandalici. Galesi, sepolto con la kefiah palestinese, sarà stato pianto di nascosto, altrove, ma non al cimitero. Lioce lo sa e auspica allora che qualche ?anima pia?, a pagamento, si prenda periodicamente cura della tomba, cambi ogni tanto l?acqua ai fiori. Lo scorso 2 novembre una mano ignota ha posato un garofano. Ovviamente rosso. Ai funerali, ovviamente solitari, le uniche lacrime che bagnarono quella cassa, pagata dal Comune, furono quelle del prete di Trespiano, vicino Firenze, padre Onelio Bacci, che officiò la sepoltura: “Era da tempo che non sbattevo contro una solitudine così grande. Mi sono commosso. E resto ancora sbigottito: questo Galesi ha fatto parlare di sé tutta Italia e nel suo estremo saluto alla vita non c?è stato nessuno che si sia sentito in dovere di ricordarlo con la sua presenza al cimitero”. Quando le cronache hanno sottolineato la vicinanza di alcuni degli arrestati al sindacalismo di base, Sergio Bernocchi, leader Cobas, è voluto intervenire sfuggendo alla domanda sulla pietas: “Non piango da 27 anni, dalla morte di mio padre. E comunque, a parte la dolorosa nota personale, noi abbiamo molti nemici”. Come se piangere non fosse un?attività tipicamente umana. Come se le lacrime non affiorassero dal nulla, ignorando gioia e dolore. Scendono, e basta.
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