Medio Oriente

La Global Sumud Flotilla pronta a salpare per Gaza. Con lei c’è il mondo intero

La Global Sumud Flotilla sta per salpare: circa 500 persone a bordo di 50 barche di oltre 40 Paesi diversi. Il 31 agosto le prime partenze dalla Spagna, il 4 settembre il secondo turno da Italia e Tunisia. Obiettivo: portare aiuti umanitari e rompere il silenzio. Intervista alla coordinatrice italiana Maria Elena Delia: «I cittadini sono esasperati dalla passività e la connivenza dei loro governi»

di Chiara Ludovisi

Non è più il tempo del silenzio né dell’inerzia: di fronte alle notizie e alle immagini che continuano ad arrivare da Gaza, di fronte all’immobilismo delle istituzioni e della politica, è la società civile che si solleva, rompe il silenzio e soprattutto vuole rompere l’assedio, varcare il confine, fermare la strage.

Dopo le mobilitazioni delle piazze reali e virtuali, dopo gli appelli e le iniziative nazionali e locali, adesso è il mondo intero che si muove, mettendo in mare una flotta che batte 44 bandiere diverse. Si chiama Global Sumud Flotilla. “Global” come globale, “Sumud” come resistenza, o meglio resilienza (un concetto profondamente radicato nella resistenza non violenta palestinese) e “Flotilla” come piccola flotta. Ma la flotta non è affatto piccola, perché questa è la più grande missione civile internazionale che sia mai stata organizzata e a cui partecipano quasi 50 Paesi. La destinazione è Gaza, l’obiettivo è rompere il blocco navale e portare aiuti umanitari, ma al tempo stesso un messaggio di solidarietà e vicinanza al popolo palestinese, esperimendo unanime indignazione verso la strage che sta avvenendo, da quasi due anni, senza che nessuno intervenga a fermarla.

Le prime imbarcazioni salperanno dalla Spagna il 31 agosto, mentre un secondo turno di partenze è in programma per il 4 settembre dalla Sicilia, dalla Tunisia e da altri porti del Mediterraneo centrale. Intanto, ormai da settimane, l’iniziativa sta facendo il giro del mondo, grazie a un fortissimo coinvolgimento della rete e dei social media: attivisti, medici, artisti, cantanti, giornalisti e volti noti del mondo della cultura, della politica e dello spettacolo hanno prestato la proprio volto, per condividere l’iniziativa, spiegarne le ragioni e gli obiettivi e invitare tutti a sostenerla.

Al tempo stesso, prima e durante la navigazione, in mare, a terra si stanno svolgendo e si svolgeranno, nei diversi Paesi, iniziative di sensibilizzazione e raccolte di aiuti umanitari da portare a Gaza. Come quella in coraso a Genova, coordinata da Music for Peace e il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp). L’obiettivo è raccogliere 45 tonnellate di aiuti, da caricare a bordo delle barche in partenza, insieme ai mebri degli equipaggi.

Più di 30 mila persone hanno chiesto di partecipare, circa 500 sono quelle che saliranno a bordo di una cinquantina di imbarcazioni. Tra loro, diversi volti noti, tra cui Greta Thunberg, già partita a giugno a bordo della “Madleen”, poi fermata da Israele. 

L’organizzazione e i suoi rischi

La Global Sumud Flotilla è una mobilitazione congiunta del Global Movement to Gaza, della Maghreb Sumud Flotilla (già Sumud Convoy), di Sumud Nusantara e di partner strategici della Freedom Flotilla Coalition. «Siamo indipendenti da qualsiasi governo o partito politico», spiegano i promotori. La nostra lealtà è alla giustizia, alla dignità e alla sacralità della vita umana. L’occupazione israeliana impone un assedio totale – via terra, via mare e via aria – isolando deliberatamente Gaza dal mondo esterno. Le vie di comunicazione via terra sono completamente bloccate o soggette a stretto controllo da parte delle Forze di Occupazione Israeliane e della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), sostenuta dagli Stati Uniti. Gli aiuti vengono spesso ritardati, limitati o trasformati in trappole mortali. Via mare, aggiriamo questi sistemi e affrontiamo il blocco frontalmente. Queste imbarcazioni non trasportano solo aiuti, portano un messaggio: l’assedio deve finire».

Questa azione è legale secondo il diritto internazionale. Ciò che è illegale è il blocco di Gaza da parte dell’occupazione israeliana, che costituisce una punizione collettiva, una violazione delle Convenzioni di Ginevra

I rischi non mancano, ma il gran numero di partecipanti renderà certo più difficile l’intervento dell’esercito israeliano, che ha invece intercettato e bloccato le precedenti flottiglie: «Israele ha una storia documentata di uso della forza contro le flottiglie umanitarie», spiegano i promotori. «Tuttavia, l’attenzione internazionale sposta i calcoli. Con un coordinamento globale, una preparazione legale e equipaggi addestrati, miriamo ad aumentare il costo politico di qualsiasi aggressione. I partecipanti saranno sottoposti a controlli di sicurezza, addestramento alla nonviolenza e preparazione alla sicurezza». In ogni caso, indipendentemente da quale sarà l’esito della missione e delle preoccupazioni che accompagnano l’impresa, «i rischi che corriamo sono minimi rispetto a ciò che i palestinesi sopportano ogni giorno: fame, sfollamenti e bombardamenti».

Anche per ridurre i rischi, le imbarcazioni della flottiglia sono per lo più di piccole e medie dimensioni, quasi tutte a vela, quindi agili e più difficili da ostacolare, oltre che più semplici da gestire dal punto di vista burocratico. Ogni imbarcazione è supervisionata da una delegazione regionale con il supporto legale, nautico e logistico della coalizione della flottiglia.

Ma la scelta di mettere in mare tante piccole imbarcazioni ha anche un significato politico e simbolico: «Il nostro modello decentralizzato, con centinaia di piccole imbarcazioni, rafforza la resilienza, distribuisce le responsabilità e amplifica la leadership di base», spiegano ancora i promotori, che precisano: «Questa azione è legale secondo il diritto internazionale. Ciò che è illegale è il blocco di Gaza da parte dell’occupazione israeliana, che costituisce una punizione collettiva, una violazione delle Convenzioni di Ginevra. Le imbarcazioni civili che trasportano aiuti umanitari o che partecipano a proteste pacifiche in acque internazionali sono protette dal diritto marittimo».

La storia del blocco. E dei tentativi di romperlo

Il blocco navale, così come quello terrestre e aereo, è stato imposto da Israele (con l’aiuto dell’Egitto a sud) dopo la presa di Gaza da parte di Hamas, nel 2007. Il blocco navale, in particolare, prevede che la marina israeliana pattugli la costa e impedisca l’accesso di navi nelle acque di Gaza oltre un limite ristretto e variabile. L’obiettivo dichiarato è quello di impedire il passaggio di armi, ma il risultato è, ormai da quasi 20 anni, una grave limitazione della circolazione di beni civili e persone. Quella che per Israele è una misura di sicurezza, per l’Onu e le Ong è una forma di punizione collettiva, per il popolo palestinese è fame, isolamento, povertà, spesso morte

Per rompere questo blocco, nel 2009 è nata la Freedom Flotilla, una coalizione internazionale di ong e attivisti di diversi Paesi (tra cui l’Italia, con la sezione “Freedom flotilla Italia”), nata con lo scopo di portare aiuti umanitari a Gaza via mare. La prima spedizione è anche quella più drammaticamente nota: nel 2010, sei navi salparono alla volta di Gaza. La nave turca Mavi Marmara fu abbordata in acque internazionali dalle forze israeliane: dieci attivisti furono uccisi, molti altri feriti.

Altre flottiglie e barche singole tentarono di rompere il blocco negli anni successivi, sempre intercettate dalla marina israeliana prima dell’ingresso nelle acque di Gaza. Obiettivo comune alle diverse spedizioni è non solo consegnare aiuti, ma rompere il silenzio e attirare l’attenzione internazionale. 

Vogliamo che ai nostri governi arrivi un messaggio: i loro cittadini, che si stanno unendo numerosissimi a questa iniziativa, sono veramente esasperati, esausti di vedere questa passività, questa connivenza con lo terminio barbaro in corso a Gaza

Maria Elena Delia, coordinatrice italiana Global Sumud Flotilla

Maria Elena Delia è portavoce della delegazione italiana del Global Movement to Gaza e coordinatrice italiana della Global Sumud Flotilla. Laureata in fisica, fin dall’Università partecipa al mondo dell’attivismo, in particolare per il popolo palestinese. Nel 2008, con il Free Gaza Movement, faceva parte del gruppo che ha fatto navigare le prime due barche fino a Gaza.

Come procedono i preparativi, a poche ore dalle prime partenze?

Si può dire che lavoriamo 23 ore su 24! Coordinare tutto questo è molto complesso da diversi punti di vista: ingegneristico, burocratico, della sicrezza, della comunicazione, dei rapporti con le istituzioni. Ma all’interno del movimento ci sono centinaia di persone con competenze straordinarie, che hanno deciso di mettere al servizio di Gaza le loro professionalità.

I rischi non mancano, avete detto. Come vi proteggerete?

Innanzitutto, la straordinaria visibilità che stiamo avendo è una forma di protezione nei nostri confronti: una visibilità che non ci aspettavamo e ci commuove molto. Grazie ai social, si è creata una sorta di volano, per cui dopo i primi video ce ne sono arrivati moltissimi altri. Dai possibili blocchi e arresti non possiamo porteggerci, ma la nostra azione è legale e la legittimità di quel che facciamo è la nostra prima forma di protezione. Siamo disarmati, non violenti, porteremo aiuti umanitari a bordo e navigheremo in acque internazionali: in teoria, nessuno dovrebbe fermarci. Il nostro piano è di passare dalle acque internazionale alle acque di Gaza, ma è probabile che saremo fermati: non potremo impedirlo, perché siamo una flotta civile e pacifica e se una marina militare ci vuole fermare lo farà. E se lo farà, noi non le risconosceremo il diritto di intimarci di tornare indietro. A quel punto, si potranno aprire tanti scenari. La nostra protezione, ripeto, consiste nella nostra legittimità. Ma la nostra protezione siete anche voi, giornalisti della carta stampata, della radio, della tv e del web. E sono le tante persone che resteranno a terra e ci sosterranno, ciascuna come potrà.

Sapete se a Gaza sono a conoscenza di questa iniziativa?

Si, abbiamo contatti con diverse persone e organizzazioni, sia palestinesi che internazionali. Sono al corrente dell’iniziativa. Proprio ieri ero a un’iniziativa ad Ancona: una partecipante che sarà con noi in barca raccontava che i suoi contatti a Gaza le hanno detto che sono «orgogliosi» di lei. Questo mi fa sorridere, perché noi abbiamo solo da imparare dai palestinesi. Intanto, però, speriamo che questa iniziativa riuscirà a farli sentire meno soli.

Un’iniziativa umanitaria? O anche politica?

Certamente umanitaria, perché porteremo aiuti e cercheremo di aprire un corridoio umanitario, chiedendo al tempo stesso che vengano riaperti i corridoi internazionali. Ma anche un’azione politica, perché vogliamo che ai nostri governi arrivi un messaggio: i loro cittadini, che si stanno unendo numerosissimi a questa iniziativa, sono veramente esasperati, esausti di vedere questa passività, questa connivenza con lo terminio barbaro in corso a Gaza.

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