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Legge di bilancio 2024

La manovra punta sul terzo figlio, ma in Italia il secondo è già un lusso

La sociologa Chiara Saraceno analizza le misure per la famiglia previste dal governo Meloni nella legge di bilancio 2024. Bene la decontribuzione per le lavoratrici mamme e il mese "più ricco" di congedo parentale, ma con due criticità: non si tenta nemmeno un riequilibrio della cura dei figli fra madri e padri e si punta un po' troppo sul terzo figlio... che in Italia ormai è rarissimo

di Sara De Carli

«Il primo obiettivo è difendere il potere d’acquisto delle famiglie, ovvero più soldi in busta paga per i cittadini con redditi medio-bassi. L’altro grande obiettivo sul quale concentriamo le risorse è, come abbiamo già fatto lo scorso anno, la famiglia, con particolare attenzione all’incentivo alla natalità»: così la premier Giorgia Meloni ha presentato la Legge di Bilancio per il 2024. Per la famiglia ci sono un miliardo in più e tre nuove misure: un ulteriore mese di congedo parentale, utilizzabile fino a sei anni di vita del bambino dalla madre o dal padre, retribuito al 60% anziché allo “storico” 30%. Un aumento di 150-180 milioni di euro del fondo per gli asili nido, con l’obiettivo del nido gratis per il secondo figlio. Tre, la decontribuzione per le lavoratrici madri: «Noi prevediamo che le madri con due figli o più non paghino i contributi a carico del lavoratore. Voi sapete che i contributi previdenziali vengono pagati un terzo dal lavoratore e due terzi dal datore di lavoro. La quota del lavoratore per le madri che hanno due o tre figli la paga lo Stato, ovviamente con dei limiti. Il limite è per le madri con due figli fino a quando il secondo figlio, cioè il più piccolo, ha 10 anni; per le madri con tre o più figli, fino a quando il figlio più piccolo ha 18 anni», ha detto Giorgia Meloni. «Il concetto che noi vogliamo stabilire è che una donna che mette al mondo almeno due figli, in una realtà nella quale noi abbiamo disperato bisogno di invertire i dati sulla demografia, ha già offerto un importante contributo alla società. E quindi lo Stato cerca di compensare pagando i contributi previdenziali, facendo una cosa che non solo aiuta anche in termini di riconoscimento pensionistico, ma che aiuta anche a smontare il racconto per il quale favorire la natalità è un disincentivo al lavoro delle donne. Noi vogliamo dire esattamente il contrario, vogliamo dire che le due cose possono stare perfettamente insieme e che vogliamo incentivare, ovviamente per chi mette al mondo dei figli e nel caso in cui voglia lavorare». 

Abbiamo chiesto di commentare il “pacchetto famiglia” della nuova Legge di Bilancio a Chiara Saraceno, sociologa, già docente all’università di Trento e di Torino, già presidente del Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza nel Governo Draghi. È portavoce dell’Alleanza per l’Infanzia, composta da una quarantina di organizzazioni e associazioni, aventi rilevanza nazionale, con competenze ed esperienze specifiche in materia di diritti, salute, educazione, sviluppo dei bambini e adolescenti, di politiche per le famiglie.

Il giudizio complessivo qual è?

C’è un’attenzione alla famiglia che mancava in molti governi precedenti, anche di centro-sinistra. Questa attenzione fa parte del dna di questo Governo ed è certamente positiva, motivata anche da una forte preoccupazione per la natalità che è un bene che ci sia. Poi però guardando le singole misure, ci si accorge che ci sono delle luci ma anche molte ombre. 

La prima criticità qual è a suo giudizio?

C’è un’attenzione esclusivamente per le madri, manca assolutamente un’attenzione e un incentivo per favorire il riequilibrio delle responsabilità di cura dei figli piccoli. Lo si vede soprattutto nel provvedimento che aggiunge un secondo mese di congedo parentale pagato più generosamente: l’anno scorso si decise che il primo mese di congedo parentale – utilizzabile dalla madre o dal padre – anziché essere pagato al 30% sarebbe stato pagato all’80%. Ora si aggiunge un secondo mese pagato al 60%, che è una cosa positiva. Dovremmo però fare in modo che di questi due mesi, uno lo prenda la mamma e uno il papà. Siccome sappiamo nei primi mesi il congedo parentale è preso di norma dalle madri, se non si cerca esplicitamente di riequilibrare l’impegno di cura dei padri di fatto significa dare soldi alle mamme perché stiano a casa di più con i figli. Il riequilibrio della cura dei figli tra padre e madre è invece un’indicazione che emerge a livello internazionale. 

Poi c’è il nido gratuito per il secondo figlio.

Intanto la gratuità del nido per il secondo figlio è una promessa per il futuro, non qualcosa di attuale. A mio modo di vedere, in realtà, se i nidi fanno parte (come fanno) del sistema educativo 0-6, dovrebbero essere gratuiti per tutti i bambini, con lo stesso statuto delle scuole dall’infanzia, mentre invece continuano ad essere a domanda individuale. Vedo due problemi qui. Il primo è che i nidi non ci sono e quindi hai voglia a mettere bonus: se il nido non c’è, le famiglie non potranno neanche usufruire del bonus. Su lavoce.info proprio in questi giorni è stato pubblicato un articolo sull’utilizzo dei bonus asili nido che dice che sì, più di 400mila bambini ne hanno fruito, ma in molto differente a livello territoriale: dove i nidi non ci sono, il bonus non può essere fruito. Il bonus in questo senso allarga le disuguaglianze. Sarebbe stato meglio rafforzare l’offerta di nidi, dando gambe al Pnrr: sappiamo che su questo punto anche il Pnrr viaggia a rilento, anche per l’errore fatto dal governo Draghi di fare dei bandi per i nidi. Se ci sono aree del Paese che non hanno nidi, lo Stato deve mettere i nidi là dove ce n’è bisogno, non fare dei bandi. Poi è vero che con Mara Carfagna la copertura del 33% di posti è diventata un Lep e che sono stati messi dei fondi per i costi di gestione dei nidi, non solo per la loro realizzazione: ma quelle risorse vanno rafforzate e messe a regime. Il secondo punto critico è che si punta a garantire la gratuità per il secondo figlio, mentre sappiamo che già al primo figlio le donne spesso lasciano il lavoro. Il nido deve essere gratis per tutti in quanto opportunità educativa e diritto dei bambini, a prescindere dall’occupazione delle madri: invece lo si pensa ancora solo in chiave di conciliazione. Oggi al nido ci vanno i figli dei laureati, coppie in cui più verosimilmente entrambi i genitori lavorano, ma è un circolo vizioso perché i bambini più poveri ne saranno esclusi esclusi, perché le mamme non lavorano o perché o nidi non ci sono. È un problema. 


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C’è un aumento dell’assegno unico per il terzo figlio.

Ecco, il tema del terzo figlio è interessante, perché torna anche nella decontribuzione totale prevista per le lavoratrici madri che hanno due o più figli. Lo Stato pagherà i contributi previdenziali a carico della lavoratrice fino ai 10 anni del secondo figlio e fino ai 18 anni del terzo. Ma in Italia il problema è avere il secondo figlio, se non il primo. Il terzo figlio ormai riguarda una minoranza. Se vuoi davvero incidere sulla natalità devi insistere sulle condizioni per permettere alle coppie di mettere al mondo il secondo figlio, non il terzo. Chiaramente introdurre misure per chi ha tre figli costa meno, ma se siamo a una media di 1,3 figli per donna vuol dire che già il secondo è raro. Su questo tema della decontribuzione, merita invece una riflessione l’incentivo per le nuove assunzioni di mamme, giovani sotto i 30 anni, neet, ex percettori di reddito di cittadinanza… Intanto non è chiaro per quanto tempo sarà la decontribuzione e inoltre bisognerà stare molti attenti a cosa faranno le imprese, perché nella corsa all’incentivo si rischia di vedere molte donne lavoratrici costrette alle dimissioni con la promessa della ri-assunzione, donne che però in quel modo perderebbero l’anzianità e ripartirebbero da zero. Bisognerebbe prevedere dei meccanismi per evitare una “caccia all’incentivo”, magari prevedendo che chi licenzia questi nuovi assunti entro 10-15 anni dall’assunzione dovrà restituire l’incentivo e pagare pure una multa. 

Le misure per la povertà invece, come commentarle?

Non vedo misure per la povertà. 

Foto di Gustavo Fring, Pexels


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