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La mia libertà dipende dalla libertà che genero per gli altri

Il ruolo delle relazioni nel cambiamento è fondamentale. La vita stessa è intrinsecamente relazionale. Ma al tempo stesso la relazione precede la vita – e questo è un paradosso difficile da cogliere per chi ha introiettato una visione lineare. Recensione di "Generare libertà" l'ultimo saggio di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi

di Marco Dotti

Generare libertà (il Mulino, 2024, 172 pagine, 15 euro) di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi è più di un libro. È un corpo a corpo dove la sfida del pensiero si confronta con la necessità, oramai improcrastinabile, di un passaggio all’atto. Strutturato in quattro capitoli evocativi e suggestivi (i titoli: Più vita; Vita è relazione; Principio generativo; Più vita nella supersocietà), il lavoro ruota attorno a una parola, che non a caso tra le più ricorrenti nel testo dei due sociologi: “vita”. A partire da un sottotitolo, “Accrescere la vita senza distruggere il mondo”, che in sé racchiude tante contraddizioni, e al tempo stesso tutte le ambizioni in cui le soggettività che ancora non hanno alzato bandiera bianca dinanzi al binomio complessità-sconforto si trovano a oscillare.

Per accrescere senza distruggere bisogna, innanzitutto, decolonizzare il nostro immaginario. Decolonizzarlo non solo dall’idea di una crescita meramente quantitativa, inseguita costi quel che costi. Questo è persino scontato. Meno scontato è cogliere la necessità di liberarlo anche da una certa ideologia della disruption a tutti i costi: l’idea che non esistano radici, né tradizioni e, di conseguenza, memoria, trasmissione, passaggio generazionale siano solo drappi consolatori per anime belle. Eppure, proprio l’ideologia che tutto parta sempre e comunque da una tabula rasa ha portato il nostro sistema – politico, economico, sociale – a vivere in un perenne gioco dell’oca dove l’ultima casella rispedisce inevitabilmente all’inizio le pedine che ci siamo ridotti a essere. Il diffuso senso di impotenza che si percepisce nell’aria sembra forse più sconforto per questa continuo gioco a somma zero. Questo perché la dinamica della crescita è solitamente collocata in un mindset lineare, che vede nell’accelerazione da un punto “A” a un punto “B” l’unico modo di far procedere la vita. Ma la vita non funziona così – ammesso che per la vita si possa predicare un verbo del genere: funzionare. La vita disloca la sua crescita in quelle dinamiche per lo più non valorizzate che, nel lavoro di Giaccardi e Magatti, hanno un nome chiaro: relazioni.

Il ruolo delle relazioni nel cambiamento è fondamentale. La vita stessa, osservano gli autori, è intrinsecamente relazionale. Ma al tempo stesso la relazione precede la vita – e questo è un paradosso difficile da cogliere per chi ha introiettato una visione lineare. La relazione costituisce la base per la diversità e la complessità dell’intero sistema vivente. Una lettura, questa, che si estende alla tensione tra due fenomeni ampiamente analizzati da Giaccardi e Magatti in tutta la loro ultima produzione e che qui trovano un punto di sintesi analitica: entropia (disgregazione) e neghentropia (ricomposizione).


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Il testo sottolinea che la vita prende forma attraverso un processo di individuazione in cui materia, energia e informazione fluiscono tra l’organismo e l’ambiente circostante. La vita è descritta come un fenomeno tipicamente neghentropico che si oppone alla tendenza all’entropia, consentendo la creazione di forme sempre nuove. Questo processo della vita implica un continuo apprendimento e adattamento dei soggetti, non la loro disruption, in cui la dinamica vitale è la sola forza positiva capace di superare le forme esistenti per evolvere in modi imprevedibili. Ed è in questo spazio aperto, in questo campo di imprevedibilità costitutiva dell’umano che il concetto di libertà viene ridefinito come la capacità di superare ciò che esiste incorporandolo in una configurazione più ampia attraverso relazioni libere con gli altri. Magatti e Giaccardi ricordano infine come sia fondamentale riconoscere il principio generativo come una chiave per affrontare le sfide dell’antropocene e della crisi entropica attuale, suggerendo la via di un diverso approccio alla tecnologia per gestire le crescenti possibilità di vita senza compromettere l’equilibrio del vivente e, tra i viventi, di quel super-vivente che è il Pianeta.

Ma per imboccare questa via, per passare dalla teoria all’atto, è necessario che i nostri sistemi abbandonino definitivamente il modello di sviluppo attuale basato su quell’immaginario nel quale l’unico soggetto deputato a muoversi indisturbato sulla scena è una sorta di “Io” autocentrato e autoreferenziale. Bisogna tentare altro. Ma per tentarlo – questa la sfida degli autori, che all’interno dei capitoli disegno una sorta di tracciato per cambiarlo, rigenerarlo, liberarlo – bisogna riconfigurare il nostro immaginario. Bisogna desiderare altro per il mondo, non – alla maniera dei vari Elon Musk, Sam Altman o Peter Thiel – desiderare un altro mondo. Se vogliamo affrontare «i problemi entropici e antropici del nostro tempo, cioè fronteggiare davvero la sfida della sostenibilità», concludono gli autori, «la via è quella di comprendere più a fondo, di nuovo, la logica che presiede alla vita in generale e, al suo interno, la sua forma umana. Il desiderio di andare oltre, di esplorare, di essere riconosciuti, di essere coinvolti nella realtà̀, di stabilire relazioni di senso e affezione – in una parola di avere “più vita” – non si compie mai del tutto, definitivamente, senza conflitti e tensioni. Ma non possiamo non continuare a desiderare di creare luoghi di vita in cui questo dinamismo venga assecondato e possa esprimersi».  Proprio in questo contesto, infine, il principio generativo viene richiamato a ricomporre «in modo nuovo le dimensioni dello spazio e del tempo, della coesistenza e della intergenerazionalità, intrecciandole in una configurazione inedita: molteplicità nell’unità (nello spazio, nel presente) e cambiamento nella continuità̀ (nel tempo) non sono più alternative, ma forme trasdutive e paradossali, generative di un avvenire umanamente sostenibile». Capace di generare libertà. Per gli altri e, di conseguenza, per noi: è solo in quest’inversione logica, infatti, che il cambiamento sperato ha possibilità di prodursi.

Foto: Pixabay

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