E’ un onore potere scrivere in queste pagine e tra illustre penne e operatori. La nostra idea è quella di raccontare l’esperienza di vita dal basso perché vi è una diversità orizzontale ma anche una verticale e cioè mostrare come il mondo, qualsiasi esso sia, possa anche cambiare parecchio rispetto all’altezza dal quale lo si guarda. Infatti, da un aereo il mondo sembra piatto, facile da controllare, dominare , e le persone sono come dei puntini. Lo sguardo di una formica è invece fatto di alti ostacoli all’apparenza insormontabili, che ti impediscono di vedere l’orizzonte. Quindi, vogliamo con voi cogliere e valorizzare la diversità anche dal ‘nostro’ punto di vista che è quello che ci viene più facile.
Parlare di diversità può sembrare anche molto ridondante: molto è già stato detto e sappiamo bene che in natura ogni cosa è diversa dall’altra. Ma di una diversità di cui si parla poco ma viene usata molto è quella che troviamo nelle parole. Quale arena migliore dunque per iniziare un blog parlando di parole? Non me ne intendo e quindi dirò un sacco di cose scontate e già dette. E’ curioso che, come per le persone, ogni parola ‘nasca’ pura, neutra e acquisisca un significato in base all’accezione che se ne fa., Un piccolo trattino, un accento, può farne cambiare significato (Prìncipi-pricìpi). Non solo, ma le parole alla apparenza innocue, possono diventare ‘armi’ a volte molto violente. Infatti, andrebbero sempre pesate e soprattutto mai sprecate. Un loro uso appropriato ci permette di essere meglio compresi.
Ho letto recentemente un articolo sul Corriere della Sera di Pier Luigi Vercesi nel quale si riportano alcuni estratti del saggio L’origine della donna (Einaudi), dell’antropologa Elaine Morgan la quale racconta come, migliaia di anni fa, un ominide riuscì finalmente a spiegare, a suo fratello, che un pesce si chiamava pesce. Aveva inventato il linguaggio. Ma per altre migliaia di anni, le parole vennero usate solo di fronte all’esperienza sensoriale dell’oggetto che indicavano. Finché un giorno una bambina emise i primi gorgheggi su una spiaggia e pronunciò, imitando il padre, la parola pesce. I genitori, inteneriti, sorrisero. Allora la piccola ominide, sapendo che quel verso rallegrava i genitori, continuò a ripeterla tutta la sera, anche se, nella grotta dov’erano tornati, non c’erano pesci. Ascoltandola, i genitori riuscirono, per la prima volta, a materializzare nella loro mente il pesce rimasto sulla spiaggia. Eravamo diventati animali intelligenti.
«La piccola ominide– racconta la Morgan– quella sera continuò a cicalare finché il padre grugnì e si allontanò per dormire e finché la madre non le cacciò un capezzolo in bocca per farla tacere. Non era abbastanza affamata per succhiare, ma le piaceva tenerlo tra le labbra. Continuò a canticchiare tra sé e sé, a volte chiudendo le labbra intorno al capezzolo, a volte lasciandolo andare. E così facendo, coniò la parola bisillabica che ha dato nome all’intero ordine biologico dal quale era stata prodotta. Mamma– disse la piccola ominide – Mam-ma». Non so se sia andata davvero così o meno ma è bello immaginarlo
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