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Politica & Istituzioni

La politica,le soubrette e le banche sull’orlo dell’abisso

Che cosa si è rotto nell'economia mondiale

di Fabrizio Tonello


Domenica 15 e lunedì 16 marzo, mentre le Borse mondiali andavano a picco e la Banca centrale americana faceva qualcosa che non aveva mai fatto dopo il 1933 – salvare una banca garantendo un credito illimitato a un?altra banca per farsene carico – i candidati alla presidenza degli Stati Uniti di cosa parlavano? Il repubblicano McCain era in Iraq, a farsi vedere vestito di un apposito giubbotto antiproiettile mentre stringeva mani ai soldati. Hillary Clinton parlava a Washington, anche lei sul tema della guerra e, infine, Barack Obama preparava un atteso discorso da tenere a Filadelfia sui rapporti tra bianchi e afroamericani negli Stati Uniti. Tutti temi importantissimi, ma bizzarramente fuori fase rispetto alla gravità di ciò che stava accadendo nell?economia.

L?economia in grigio
Forse l?immagine più appropriata per descrivere la crisi attuale negli Stati Uniti non è quella del crollo del sistema: è piuttosto una nebbia fitta quella in cui si trova il sistema finanziario americano. Ma non si tratta affatto di una nebbia innocua: come spiegava Robert Samuelson su Newsweek, «paura e incertezza riguardano il valore di strumenti di credito estremamente complessi e opachi detenuti da una miriade di istituzioni finanziarie». L?ampiezza della sfiducia è misurabile dal prezzo pagato da J.P. Morgan per acquisire Bear Stearns: Morgan ha pagato 236 milioni di dollari per una banca di investimenti valutata 2 miliardi di dollari pochi giorni prima e 20 miliardi di dollari, circa 100 volte tanto, solo un anno fa. Il problema, come ha sottolineato Paul Krugman, era che Bear Stearns aveva accumulato fantastici profitti operando nelle ?aree grigie? della finanza non regolata a cui la Fed e l?amministrazione Bush avevano permesso di espandersi.

Ora la Federal Reserve ha nuovamente abbassato i tassi di interesse ma, in assenza di una «politica aggressiva di regolamentazione», come chiedeva il New York Times, questo non risolverà la crisi di sfiducia. Il problema, infatti è che tutto dipende dalla fiducia: comprare azioni, sottoscrivere un mutuo, concedere un finanziamento per l?acquisto dell?auto sono operazioni compiute a partire dal presupposto che andranno a buon fine. Certo, di riserva ci sono sempre gli avvocati, ma i sistemi economici moderni non si basano sui tribunali, si basano sull?idea che le azioni corrispondano a società realmente esistenti, che producono merci che si vendono e, a fine anno, mostrano profitti. Così la banca che eroga un mutuo o un credito al consumo non si aspetta che il debitore scompaia nel nulla, per poi dover cercare di recuperare il proprio credito negli anni.Ciò che sta accadendo al sistema finanziario americano è invece che la fiducia è scomparsa, anche ove non ce ne sarebbe motivo, perché nessuno si fida delle controparti: la banca fino a ieri solidissima non avrà, in realtà, un capitale fatto di crediti inesigibili? Le aziende o le città che hanno emesso obbligazioni sono realmente in grado di pagare i loro debiti o dichiareranno bancarotta? Questo è il veleno che paralizza i mercati, la tossina a cui nessuno ha finora trovato un antidoto.

Intanto in Italia

E da noi? Mentre scoppiava la crisi, nel fine settimana i leader dei principali partiti erano molto occupati a polemizzare su chi aveva copiato il programma di chi, oppure si discuteva delle divisioni fra laici e cattolici, si commentava l?ultimo sondaggio, e stendiamo un velo pietoso sulle battute di Berlusconi a proposito delle soubrette (a cui va in larga parte il merito dei 139.245.570 euro che ha guadagnato nel 2007, quasi cinque volte di più rispetto al 2005). Qualcuno ha sentito Veltroni, Berlusconi, Casini o Bertinotti fare proposte per affrontare le ricadute della crisi sul nostro Paese?

Mentre Tremonti propone di affrontare la crisi mettendo i dazi alle merci cinesi (che sarebbe come affrontare il problema del caro petrolio finanziando la ricerca sulle mucche da latte), la nostra campagna elettorale continua a svolgersi in un clima surreale, in cui la discussione avviene esclusivamente per battute da Caffè Commercio.

E i cani da guardia della politica, i grandi giornali che, a nome dell?opinione pubblica, dovrebbero sorvegliare i governanti? Per esempio, il Corriere della sera non trovava di meglio che scrivere, martedì 18 marzo: «La vigilia di elezioni importanti è, probabilmente, il momento meno adatto per analizzare serenamente i fenomeni che stanno cambiando equilibri sociali e rapporti di forza tra le aree del mondo». Certo, è il momento meno adatto per parlare del dollaro che ormai vale quanto le banconote del Monopoli, di alcune banche italiane piene di titoli-spazzatura, delle esportazioni dei nostri prodotti strangolate dal Supereuro, perché non parliamo di Sex and the City?


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