Salute & Bioetica

La preoccupazione di Anffas davanti alla morte di Indi Gregory

Indi Gregory si è spenta a otto mesi, nonostante la lunga battaglia legale dei genitori che si erano opposti all'interruzione dei sostegni vitali. Il presidente di Anffas: «Consentire di decidere a dei giudici, contro il parere della persona o dei genitori, desta forti preoccupazioni: ci dice di una cultura che considera "non degne" alcune vite»

di Redazione

All’1.45, ora inglese, Indi Gregory oggi si è spenta. Indi era una bambina inglese di 8 mesi con una patologia mitocondriale grave, indicata come terminale dai medici dell’ospedale in cui era seguita. I giudici britannici, dopo una lunga battaglia legale, hanno disposto il distacco dai principali dispositivi vitali nonostante la contrarietà dei genitori che avevano chiesto – tra le altre cose – la concessione della cittadinanza italiana alla bambina, per consentirle di essere presa in carico dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma. 

«Ancora una volta ci ritroviamo a chiederci se la responsabilità di tali delicatissime e irrevocabili decisioni può essere dei giudici di un tribunale», afferma Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas. «Si può scavalcare la volontà delle stesse persone o, come in questo caso, dei genitori, decidendo al loro posto e contro la loro volontà?».

Da sempre Anffas sostiene che la vita delle persone, in qualunque condizione essa si manifesti, va sempre rispettata: il pensiero che ci sono ancora paesi, medici e tribunali che sostengono che alcune vite non sono degne di essere vissute, provoca in noi genitori e familiari di persone con disabilità complesse, forti angosce. Ci troviamo davvero ancora in una società che non accetta la malattia, la disabilità, la diversità e che vi preferisce soluzioni sbrigative, magari ammantandole di “pietas”?».

Per Anffas «è diritto di ogni persona ricevere i giusti ed adeguati sostegni per poter vivere al meglio la propria vita. Consentire per legge ad un giudice di poter decidere se e quando “staccare la spina”, addirittura contro il parere dei genitori, è fonte non solo di preoccupazione ma anche di forti paure che ci portano ad interrogativi importanti: a che livello, dopo che questo principio è stato acclarato, sarà posta in futuro l’asticella per cui una vita può essere considerata non degna di essere vissuta? Non potremo mai restare indifferenti davanti a questo stato di cose. Stiamo arretrando pericolosamente verso quella che un tempo era la società della “Rupe Tarpea”: occorre agire a tutti i livelli affinché queste prassi siano definitivamente abbandonate».

Foto di Marcel Fagin su Unsplash

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