Non profit
la psicanalisi si fa sociale se il lettino è low cost
La scommessa di Jonas onlus, con 16 sedi in Italia

Sedute a 30 euro. Una sede in periferia, in casa di uno sponsor. La scelta etica di accogliere tutte le richieste, anche le più impossibili.
E la specializzazione sui nuovi sintomi, dall’anoressia alle dipendenze. Così una
onlus ha vinto la scommessa
di dare a Freud un volto sociale Diceva Basaglia che tra la psicanalisi e la confessione c’è poca differenza. Sostanzialmente una: lo psicanalista si fa pagare. Quella di “cura borghese” è una delle più vecchie critiche mosse alla psicanalisi. Per questo abbinare psicanalisi e sociale, con l’obiettivo di rendere praticabile la psicanalisi nel sociale, non è cosa scontata. Qualche tentativo s’è fatto sulla scia del 68, con l’intento di avvicinare il quartiere alla psicanalisi: i tempi non erano maturi. Dal 2003 invece è una scommessa vinta quotidianamente da una onlus: Jonas.
Il primo, imprescindibile step è stato l’abbattimento dei costi: «A Milano una seduta costa 80/100 euro, noi oscilliamo volutamente tra i 20 e i 50», spiega. «Non abbiamo una tariffa fissa, la calibriamo sulla capacità di reddito della persona. L’idea etica è che chi fa una domanda a Jonas deve trovare accoglienza e risposta». Così a Jonas arrivano operai, impiegati, stranieri. Recalcati un po’ ci scherza: «Tra i servizi siamo noti per accettare i casi impossibili: quelli molto gravi e quelli molto complessi, dove la situazione clinica si complica con la povertà o la marginalità sociale».
Le tariffe low cost sono certo un tassello della psicanalisi sociale, ma non l’unico. Psicanalisi sociale vuol dire anche cambiare il setting. Per esempio, trattare anche l’urgenza. Oppure, visto che i nuovi sintomi hanno un carattere sociale e addirittura la funzione sociale di dare un’identità al soggetto, spesso la terapia si fa anche in piccoli gruppi. Vuol dire porre un nesso tra questa epidemia di sintomi individuali e lo sfilacciamento del legame sociale. «Detto in modo semplice, all’origine di tutto c’è l’evaporazione della figura del padre, cioè manca la testimonianza di cosa può tenere uniti gli esseri umani. Al suo posto c’è il trionfo dell’oggetto gadget», è la diagnosi di Recalcati. La crisi, tra l’altro, ha fatto aumentare la domanda. E l’ha anche resa più disperata.
Venti, trenta, cinquantamila euro. «Abbiamo cercato di non rigettare la cultura di impresa e di trovare alleanze strategiche», spiega Recalcati. «Anche se dobbiamo migliorare. Per la mia formazione, penso sempre che le cose migliori sono quelle che si fanno solo con le proprie forze». Al secondo anno di vita hanno rifiutato un finanziamento enorme della Dove, che però chiedeva di associare sempre i due marchi. «Eravamo troppo deboli, non potevamo permettercelo. Ora siamo cresciuti, e la crescita ci impone più contaminazioni». Tipo? Una nuova sede, una collaborazione con Welfare Italia e diventare centro d’eccellenza riconosciuto dal Miur.
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