70 anni di tv
La Rai? L’abbiamo usata male
«Riflettendo sui 70 anni della Rai, molti del sociale si domandano se la Rai ha recepito il nostro compito», scrive don Antonio Mazzi, presidente di Fondazione Exodus. «Anch’io mi metto in fila per dire che ciò non è accaduto. Ma essendo la Rai un servizio pubblico e una delle braccia dei Governi, forse dobbiamo domandarci se prima di chiederlo alla Rai, non valga la pena di chiedere quanto i nostri interventi e le nostre scelte siano state valutate e apprezzate dai Governi nei 70 anni passati»
Riflettendo sui 70 anni della Rai, molti del sociale si domandano se la Rai ha recepito il nostro compito e se ha dato alle nostre presenze il peso che avrebbero dovuto riconoscerle.
Perciò anch’io mi metto in fila per dire che ciò non è accaduto. Ma essendo la Rai un servizio pubblico e una delle braccia dei Governi, forse dobbiamo domandarci se prima di chiederlo alla Rai, non valga la pena di chiedere quanto i nostri interventi e le nostre scelte siano state valutate e apprezzate dai Governi nei 70 anni passati.
Io, ad esempio, fremo pensando che solo in Italia, gli interventi nel sociale compiuti come i nostri vengono chiamati “privati”. E questo sarebbe già motivo di battaglie e di forti unioni tra di noi, che essendo “parrocchiali” (parola usata solo come aggettivo) frantumati, e pieni di protagonismi, abbiamo dovuto accettare di perdere. Mi pare che l’ultimo libro di Andreoli abbia il titolo “Insieme si vince”. Purtroppo se le pressioni e i numeri molto significativi dei nostri interventi non si trasformano in peso politico, superando la moltiplicazione dei soggetti, dobbiamo criticare la Rai ma, forse prima di tutto, dovremmo obbligarci a fare chiarezza in casa nostra con confronti chiari, decisivi per poi passare in fretta e bene a scelte operative efficaci, forti dei numeri e dell’unità.
Continuando le analisi in casa nostra permettete che mi chieda quale significato abbiano ancora nel nostro mondo, pensarci di destra o di sinistra avendo, spero, capito che la nostra maturità va ben oltre queste vecchie posizioni.
Pensarci quasi nemici, ritornando agli aspetti meno politici del ’68, non ci fa onore. Le urgenze che ci troviamo davanti e delle quali sono pieni i giornali e i telegiornali, non ci permettono di perdere tempo e di guardare indietro. I tempi sono terribilmente cambiati. Io parlo volentieri di un “altro Evo”. Le progettualità future vanno inventate e hanno bisogno di profeti e di scavalcare l’ordinario. Il futuro ci obbliga alla disobbedienza. Fatemi dire, ancora, quale significato abbia fare della Caritas l’intervento più avanzato del nostro mondo. Credo sia una cosa da chiarire subito. Certamente non vanno sottovalutate le file dei bisognosi quotidianamente allineate davanti a parrocchie, associazioni e conventi, ma il nostro obiettivo consiste nella volontà che questi fenomeni diminuiscano anziché crescere e magari possano sparire, perché siamo arrivati prima. Facciamolo capire anche ai giornalisti. Parliamo quindi di comunicazione. Dovremmo avere il coraggio di usare meglio e con intelligenza i nuovi strumenti della comunicazione. Credo, però, che forse abbiamo usato male anche i vecchi. Parlo non solo di libri, televisioni, radio, riviste, ma anche di scuole, università, che lascino il segno. Siamo poco laici e ingrippati. Perché non pensiamo anche ad alcune amicizie, quali i sindacati, le Acli e gli industriali? Perché non li scomodiamo di più? Qualcuno mi dirà che invece di far male alla Rai, mi sono fatto male da solo. È vero ma credo che questa occasione debba aiutarci a fare alcuni salti in avanti stimolando la Rai, ma stimolando anche noi.
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