Mondo
La rivolta delle mogli
Un quotidiano algerino rivela: sono stanche di nascondersi nelle montagne e di vivere di stenti
di Redazione

Le mogli dei terroristi sono stanche di vivere di stenti nascoste tra le montagne dove si rifugiano i gruppi armati. Lo ha rivelato alla sicurezza algerina un’anziana terrorista che alla fine della scorsa settimana ha deciso di arrendersi e di consegnarsi alle autorità. Fonti ben informate hanno riferito al quotidiano locale ‘Ennahar‘ che nel corso dell’interrogatorio, l’anziana signora ha fatto sapere che le mogli degli emiri e dei militanti del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, ribattezzato al-Qaeda nel Maghreb Islamico, sono stanche di nascondersi nelle montagne, dove sono costrette a vivere in condizioni pessime a causa della carenza di cibo, cure mediche e generi di prima necessità.
Secondo le informazioni fornite da B. Yamina, la settantenne terrorista che è riuscita a fuggire dalle alture di Jijel, ad est di Algeri, sono almeno quattro le compagne che stanno pensando di rinunciare alla lotta armata, ma si trovano impossibilitate ad abbandonare il loro rifugio segreto, gestito dall’emiro Abu Sufyan. Yamina, che si era unita ai terroristi nel 1995, dopo il decesso del marito, ha spiegato di aver preso questa decisione a causa dell’emarginazione e delle sofferenze subite in seguito all’uccisione dei suoi tre figli e di un nipote, tutti terroristi. Adesso la terrorista pentita è sotto custodia cautelare, su disposizione del procuratore della Repubblica di Jijel.
La testimonianza di Yamina non è un caso isolato. La settimana scorsa, la stampa araba ha pubblicato i verbali dell’interrogatorio di Hasana, la moglie dell’ex capo di Al Qaeda in Iraq Abu Ayub al-Masri, ucciso due settimane fa in un raid a Tikrit. «Contestavo spesso la linea di al-Qaeda» ha raccontato Hasana «e questo era motivo di scontri continui con mio marito. Mi sono sposata con lui nel 1988 a Sana’a e abbiamo avuto tre figli. Siamo entrati in Iraq nel 2002, prima della caduta del regime di Saddam Hussein, dopo essere stati negli Emirati Arabi Uniti». Gli ultimi giorni con suo marito li ha trascorsi nella fattoria di Tharthar, dieci chilometri da Tikrit, in una zona desertica e remota del paese arabo. «Il vero nome di mio marito era Abdel Munim Ezzedin Ali al-Badri – ha aggiunto – ma per entrare in Yemen ha usato un passaporto egiziano falso usando il nome di Yusuf Hadad Labib. Insegnava in un villaggio poco fuori Sana’a. A Baghdad ci siamo sistemati prima nel quartiere di al-Karrada per piu’ di sette mesi, poi ad al-Amiria altri sei mesi e poi nella zona nuova della capitale».
La donna, che è di origine yemenita, sostiene di non aver mai saputo che il marito fosse l’esponente di al-Qaeda che si faceva chiamare Abu Ayub al-Masri, anche dopo l’arrivo degli americani in Iraq nel 2003. Sostiene di averlo scoperto solo dopo l’uccisione, nel 2006, dell’allora emiro di al-Qaeda, Abu Musab al-Zarqawi, il cui posto è stato preso proprio dal marito. «Lui era un estremista. Una volta abbiamo litigato perché lui parlava dello ‘Stato islamico iracheno’ – ha raccontato – e io gli ho chiesto dove fosse questo stato, visto che vivevamo in mezzo al deserto». Anche gli attentati compiuti dal suo gruppo, e in particolare quelli contro i civili, erano altro motivo di litigio tra i due. «Ascoltavamo le notizie da una piccola radio – ha aggiunto – e gli chiedevo perché facesse uccidere anche i civili innocenti». Una volta lasciata Baghdad, la coppia ha preso una casa nella provincia sunnita di Diyala, per poi spostarsi in una seconda abitazione. «Il giorno dopo aver abbandonato questa casa – ha raccontato la donna – l’edificio è stato bombardato dai caccia americani. Nel raid è stato ucciso un membro di al-Qaeda che viveva al piano superiore. Con mio marito e la moglie di questo terrorista sfuggita all’attacco, ci siamo spostati a Fallujah, poi siamo passati ad Abu Ghraib e infine alla zona di Tharthar, dove ci hanno trovati».
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