L a disabilità è un argomento che soffre le pastoie del politicamente corretto, uno di quei temi che, quando va bene, presta il fianco alla retorica dell’implorazione dei diritti. Come se, in fondo, non fossero gli stessi di chiunque altro. «Apriamo gli occhi», dice Mario Melazzini, «si garantisce a un disabile ciò che si garantisce a se stessi. È l’esperienza di una condizione comune: prima o poi capiterà a tutti, anche solo per l’invecchiamento progressivo».
A lui, direttore dell’unità operativa di Day Hospital oncologico dell’Istituto scientifico di Pavia e presidente Aisla – Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica, è capitato prima: colpito da un male insidioso come la Sla, è autore del libro Ma che cosa ho di diverso? Conversazioni sul dolore, la malattia e la vita , a cura di Marco Burini (San Paolo, 12 euro). Un libro che è una testimonianza corporale, letteralmente un martirio. È il corpo di Mario ad essere eversivo: la sua storia, e quella dei suoi compagni di malattia, insinua domande, esige riflessioni, pone continui punti interrogativi là dove si vorrebbe porre un unico e rassicurante punto esclamativo.
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