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Editoriali

La Russia aggredisce l’Ucraina, due anni dopo proviamo a capire perché

L'ideologia di Stato russa e l'immaginario dei suoi dirigenti sono elementi essenziali da tenere presenti se si vuole comprendere la logica dell'invasione russa all'Ucraina e soprattutto se si cercano possibili soluzioni per porre fine al conflitto e garantire una pace duratura nella regione. Dopo due anni proviamo a capire le ragioni vere dell'aggressione

di Riccardo Bonacina

Marzo 2022 a Mykolaïv

Il 24 febbraio 2022, il Cremlino ha lanciato una “operazione militare speciale” (guai a chiamarla guerra altrimenti si va in carcere) con l’obiettivo dichiarato di eliminare completamente l’indipendenza dell’Ucraina come Stato e società. La decisione del presidente russo Vladimir Putin è stata una sorpresa per molti osservatori, poiché pochi esperti avevano previsto un simile scenario. Le loro previsioni erano spesso offuscate dalla convinzione prevalente che la Russia non avesse “motivazioni oggettive” per impegnarsi in una guerra di questa portata. Da questo punto di vista fu emblematico l’editoriale di Marco Travaglio, giornalista italiano assai attento alle ragioni del Cremlino, che il 23 febbraio 2022 regalava ai lettori del Fatto quotidiano questo formidabile incipit: «L’altra sera, mentre tg e talk rilanciavano l’ennesima fake news americana dell’invasione russa dell’Ucraina (ancora rinviata causa bel tempo), eravamo tutti col fiato sospeso…».

Pochi giorni dopo, quando le forze russe arrivarono a pochi chilometri da Kiev, coloro che inizialmente avevano sostenuto che queste truppe non avrebbero attraversato il confine ucraino hanno iniziato a sostenere che la Russia semplicemente non aveva altre alternative. Sostenevano che l’invasione era dovuta alle “pressioni dell’Occidente”.

Le minacce della Nato?

Chi sostiene questa tesi adotta, a volte inconsapevolmente, un approccio che postula che gli Stati siano attori razionali che operano in un mondo ostile e spietato, dove non c’è alcuna autorità che li protegga gli uni dagli altri, e quindi cercano di massimizzare le loro possibilità di sopravvivenza. Secondo questa prospettiva, lo Stato russo si comportava come un attore razionale e la guerra era una risposta logica a minacce oggettive provenienti dall’esterno. L’invasione dell’Ucraina è stata quindi una reazione all'”espansione” della NATO, che rappresentava un pericolo reale per la Russia. Se così non fosse, perché Putin avrebbe iniziato un conflitto che avrebbe potuto coinvolgere l’intero Occidente? Secondo questo ragionamento, la portata dell’aggressione militare russa deve corrispondere alla gravità della minaccia percepita. Altrimenti, la decisione di Putin sarebbe irrazionale e quindi impossibile da spiegare.

Eppure uno dei risultati dell’invasione dell’Ucraina è l’adesione di Finlandia e Svezia alla NATO nel 2023, che ha raddoppiato la lunghezza del confine dell’organizzazione atlantica con la Russia. È ancora più interessante notare che non è stata segnalata alcuna presenza militare russa lungo questo nuovo confine. Se la Russia vede davvero la NATO come una minaccia, perché non vediamo un aumento delle truppe russe o una propaganda che dipinge la Finlandia come una minaccia militare e i finlandesi come nemici? Chiaramente, l’adesione della Finlandia alla NATO, nonostante i suoi 1.340 km di confine con la Russia, non sembra essere una grande preoccupazione per Putin. Invece, l’Ucraina, che all’epoca non era ufficialmente candidata all’adesione alla NATO, è stata percepita come così ostile da dover essere distrutta militarmente. Questa differenza di trattamento solleva interrogativi sulle ragioni di questa disparità. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, i sostenitori di questa visione hanno faticato a dare un senso all’iniziativa russa che escludevano dalle loro analisi, ricorrendo a spiegazioni post-evento che si allineavano alla loro teoria piuttosto che riconoscere le realtà fattuali. Del resto sarebbe sufficiente leggere le parole di Vladimir Putin dette nella conferenza stampa congiunta con il Presidente ucraino Kuchma il 17 maggio 2002, dove Putin non fa alcuna obiezione all’eventuale collaborazione tra l’Ucraina e la NATO. Il testo è tuttora presente sul sito del Cremlino.

Quado la Russia trafficava con l’Occidente

Vale la pena ricordare che la Russia di Putin non ha sempre adottato una posizione ostile nei confronti dell’Occidente. Inizialmente, Putin era aperto alla cooperazione, arrivando persino a stabilire partnership con la NATO e a partecipare a esercitazioni militari congiunte. Alcuni sostengono che le élite russe aspiravano sinceramente a integrare il proprio Stato nella comunità internazionale, ma sono state deluse da un Occidente arrogante e ostile. Tuttavia, la disponibilità dichiarata da Putin a collaborare con l’Occidente in quel periodo può essere paragonata a quella di un gruppo criminale che cerca di stabilire legami con le forze dell’ordine corrotte.

All’inizio degli anni Duemila, Putin mirava ad assicurarsi il controllo dello spazio post-sovietico, costituito dalle nazioni indipendenti dell’ex Unione Sovietica. In cambio, era disposto a offrire ai “poliziotti” occidentali, la cui egemonia non aveva ancora sfidato, una sorta di “tangente”. Ciò comprendeva la vendita di combustibili fossili a prezzi stracciati, l’apertura del mercato russo agli investimenti stranieri e l’iniezione di ingenti fondi, spesso di origine oscura, nelle aziende occidentali. In buona misura, gli europei hanno accettato questi accordi: Il denaro russo è fluito attraverso i circuiti finanziari senza troppi dubbi sulle sue fonti, mentre il gas e il petrolio sono confluiti in nuovi gasdotti. I leader dell’epoca, come il cancelliere tedesco Gerhard Schröder, il presidente francese Nicolas Sarkozy o il primo ministro italiano Silvio Berlusconi, erano concilianti. Tuttavia, il raggiungimento di un monopolio assoluto sul cortile post-sovietico si è rivelato complesso. Gli Stati Uniti non erano stati coinvolti in questo accordo come l’Unione Europea. Mosca non è riuscita a offrire ai suoi vicini un modello di cooperazione veramente vantaggioso per entrambi: i mafiosi locali al potere nelle ex repubbliche sovietiche hanno faticato a percepire i vantaggi di sottomettersi alla Russia, un cartello mafioso molto più grande e predatorio. Inoltre, la popolazione di questi Paesi ha regolarmente espresso la propria insoddisfazione nei confronti dei leader autocratici e corrotti sostenuti da Putin. In sintesi, Putin non è riuscito a stabilire meccanismi efficaci per mantenere il controllo su quella che considerava la tradizionale sfera d’influenza della Russia.

Nel 2011, i comuni cittadini russi sono scesi in piazza per protestare contro l’ascesa dell’autoritarismo, tra questi cittadini c’erano Navalny, Yashin e Kara Murza (il primo ucciso e gli altri due in carcere): Putin aveva violato la Costituzione ed era alla ricerca di un terzo mandato presidenziale. Da quel momento, le autorità russe hanno iniziato a promuovere un’ideologia che dipingeva la Russia come circondata da nemici, con Putin unico in grado di proteggere il Paese da questa minaccia esistenziale. All’epoca, il regime cercava di reprimere qualsiasi impulso democratico all’interno e all’esterno del Paese.

Due anni dopo, di fronte al fallimento del suo progetto di integrazione economica eurasiatica, alla rivoluzione di Maidan in Ucraina e al declino della sua legittimità politica in Russia, il regime era passato da un approccio mirato ad attirare le élite corrotte negli Stati dell’ex Unione Sovietica a una strategia di controllo diretto dei territori dei Paesi vicini. Dopo la rivoluzione ucraina del 2014, la Crimea è stata annessa e l’esercito russo è stato dispiegato nella regione del Donbass, nell’Ucraina orientale. Il messaggio era chiaro: “Qualsiasi tentativo di rovesciare un governo autoritario sarà severamente represso”. Nel 2015, la Russia ha sostenuto Bashar al-Assad in Siria, impegnato in una guerra brutale contro il suo stesso popolo. Nel 2020 e nel 2022, i dittatori di Bielorussia e Kazakistan hanno beneficiato del sostegno russo per reprimere violentemente i movimenti popolari nei loro Paesi, dove l’influenza dell’Occidente, in particolare della NATO, non era un tema all’ordine del giorno. 

Perché l’Ucraina è diventata l’obiettivo dell’aggressione russa?

Ma perché l’Ucraina è diventata il principale obiettivo dell’aggressione russa? Innanzitutto, l’Ucraina è uno dei pochi Paesi dello spazio post-sovietico in cui una rivoluzione popolare non è stata seguita dal ritorno al potere di forze politicamente ed economicamente legate alla Russia. Inoltre, l’Ucraina è un Paese con cui i russi comuni condividono una grande vicinanza culturale e linguistica. Se un Paese simile per molti aspetti al loro riesce a costruire uno Stato democratico e prospero, i russi potrebbero porsi la domanda: “Se gli ucraini, persone come noi, non hanno bisogno di uno Stato autoritario e repressivo per condurre una vita normale, perché noi russi dovremmo averne bisogno?”.

Inoltre, l’Ucraina, che era la seconda repubblica sovietica più potente dopo la Russia, ha notevoli risorse strategiche, tra cui la posizione geografica, la terra fertile, le risorse naturali, un’industria relativamente sviluppata e una forza lavoro qualificata. Le élite politiche russe ritengono che l’integrazione dell’Ucraina in un’alleanza con la Russia e la Bielorussia renderebbe il blocco una grande potenza nella politica mondiale. Putin evoca regolarmente questa idea quando si rivolge agli ucraini, sottolineando che “insieme siamo sempre stati e saremo molto più forti”. Tuttavia, la spinta a mantenere il controllo sull’Ucraina ha motivazioni molto più profonde.

Il presidente russo è fermamente convinto che la distinta identità nazionale degli ucraini sia una costruzione artificiale creata dai nemici. Una volta separato dalla Russia, lo Stato ucraino, a suo avviso, diventa inevitabilmente una base strategica per le forze ostili in Occidente, che lo usano “come ariete” per minare la Russia dall’interno attraverso ideologie sovversive, ostacolando così le aspirazioni della Russia – cioè di Putin – di occupare il posto che le spetta nel mondo. Secondo questa visione, l’Ucraina indipendente, semplicemente in virtù della sua esistenza politica separata, si trasforma in un “progetto anti-russo” e diventa una minaccia immediata alla sopravvivenza stessa della Russia, che può resistere solo come grande potenza.

Le argomentazioni “storiche” di questo tipo, ripetutamente avanzate da Putin nei suoi discorsi pubblici, non devono essere viste come spazzatura ideologica frutto di semplici scelte politiche opportunistiche. Hanno origine nell’immaginario collettivo forgiato nel tempo: Il ruolo dell’Ucraina nella narrazione identitaria delle élite statali russe è stato plasmato nel particolare contesto storico del XIX secolo.

Putin come gli zar e come Stalin

Infatti, anche la leadership russa dell’epoca zarista riteneva che l’assimilazione dell’Ucraina fosse cruciale per rafforzare il potere esterno e garantire la stabilità interna dello Stato russo. In primo luogo, per competere con i moderni imperi coloniali che adottavano politiche di nazionalizzazione nei loro “Paesi d’origine”, la Russia aveva bisogno di creare e consolidare una comunità “nazionale”, una nazione russa composta da slavi orientali ortodossi – grandi russi, piccoli russi (ucraini) e bielorussi. L’integrazione degli ucraini in questa “nazione” costruita dall’alto era quindi vista come un passo essenziale per aumentare il potere della Russia sulla scena internazionale.

In secondo luogo, le élite zariste cercavano di preservare il loro regime autocratico in un mondo sconvolto dai movimenti democratici, soprattutto dopo i moti rivoluzionari del 1848 che avevano scosso l’Europa. La russificazione delle popolazioni della frontiera occidentale era vista come un modo per proteggerle dall’influenza di ideologie sovversive, contribuendo così alla stabilità interna del regime. In terzo luogo, in quanto impero continentale in continua espansione, la Russia si trovò ad affrontare una cronica carenza di popolazioni fedeli in grado di popolare le regioni appena colonizzate dell’Asia e del Caucaso. Pertanto, l’assimilazione di una vasta riserva demografica di ucraini divenne cruciale per mantenere la coesione di questo impero eterogeneo, poiché questa popolazione slava ortodossa doveva riempire i ranghi dei potenziali coloni in un impero in cui i russi etnici erano in minoranza.

La Russia ha provato ripetutamente ad annientare l’Ucraina sin dal 1800, poi sotto i Bolscevichi (leggi qui), e oggi è al terzo tentativo

L’attuale ideologia dello Stato russo è fortemente influenzata dall’immaginario politico nazionalista che ha preso forma nel XIX secolo. Essa continua a basarsi sulla convinzione che l’assimilazione degli ucraini alla “nazione russa” sia una necessità vitale per la sopravvivenza stessa dello Stato russo. È quindi impossibile comprendere la guerra della Russia in Ucraina se ci limitiamo a considerare solo gli aspetti militari ed economici della sicurezza. Ciò che è principalmente in gioco è la sicurezza ontologica dell’élite dominante russa, con l’Ucraina che occupa una posizione centrale nelle loro identità e nelle loro rappresentazioni del mondo.

La Russia ha vinto la guerra?

Spessissimo si sente dire dagli stessi che non credevano all’invasione e poi ce l’hanno spiegato con la pressione della Nato, che la Russia ha ormai vinto la guerra. Un’affermazione incomprensibile se si pensa che la seconda potenza mondiale dopo due anni ha solo rosicchiato porzioni di territorio. Un territorio tra l’altro devastato dai suoi missili e bombe. A volte basta una cartina, come questa che l’Ispi ha proposto in occasione dell’anniversario dell’aggressione, mettendo a confronto la situazione a marzo 20222 e quella ad oggi.
Giudicate voi e sorprendetevi vedendo come la propaganda russa abbia gioco facile nel nostro Paese

Come por fine alla guerra?

Sempre più spesso si sentono argomentazioni che suggeriscono che, per porre fine alla guerra, “l’Occidente” dovrebbe affrontare le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza, ad esempio garantendo che l’Ucraina o altri Paesi post-sovietici non entreranno mai nella NATO. Tuttavia, cosa ci porta a credere che il semplice fatto di tenere l’Ucraina fuori dalla NATO o addirittura di dividere il suo territorio possa placare Putin?

L’esistenza di un’Ucraina indipendente e democratica, che sia all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale o significativamente ridotti, è inaccettabile per un regime le cui classi dirigenti sono convinte che l’Ucraina sia una creazione di nemici che la usano come base per corrompere i russi con idee di diritti e libertà individuali e distruggere così il corpo imperiale di una Russia millenaria.

Ma lasciamo da parte tutte le questioni morali ed etiche e consideriamo per un momento che la chiave della pace mondiale risiede nell’accettazione del principio che solo le “grandi potenze” hanno diritto alla sovranità, mentre gli altri sono destinati a rimanere nella “sfera di influenza” delle grandi potenze, cioè a rimanere colonie o neocolonie. Questo è quanto ci dicono, esplicitamente o tacitamente, molti esperti di relazioni internazionali e politici “pragmatici”. Ma sorge una domanda cruciale: dove finisce la sfera d’influenza russa che dovremmo rispettare?

Su questo abbiamo una cattiva notizia. La sfera d’influenza della Russia di Putin non conosce limiti, lui stesso l’ha detto in più di un’occasione: “Ovunque ci sono russi è Russia” . Per le classi dirigenti di una “grande potenza” autocratica, che vivono nella costante paura della rivoluzione popolare, l’unico modo per garantire la sicurezza è l’espansione, spesso in barba alle esigenze di una strategia internazionale “razionale”.

L’ideologia di Stato russa e l’immaginario dei suoi circoli dirigenti sono elementi essenziali da tenere presenti se si vuole comprendere la logica dell’invasione russa dell’Ucraina e soprattutto se si cercano possibili soluzioni per porre fine al conflitto e garantire una pace duratura nella regione.


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