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Cronache russe

La Russia e la guerra: gli spostamenti progressivi dell’opinione pubblica

La dinamica dei sondaggi ci porta a ritenere che il prolungarsi della guerra porterà inevitabilmente ad una progressiva ostilità del popolo russo rispetto alla guerra stessa. per la prima volta i sostenitori dei negoziati di pace sono saliti al ​​48%, rispetto al 35% registrato nell'aprile 2022, mentre chi sostiene la continuazione dell’operazione militare speciale è calato al 39%, con una forte diminuzione rispetto al 54% registrato ad aprile 2022

di Alexander Bayanov

“Il capodanno senza papà non è una festa” è scritto sul cartello

Nell’ultimo anno, i sondaggi d’opinione in Russia dipingono un quadro apparentemente desolante. Il sostegno alla guerra in Ucraina, secondo i sondaggi di varie società sociologiche, continua ad attestarsi intorno al 70%. Ma come abbiamo già notato, nei regimi autoritari, le domande vengono poste “frontalmente”, cioè con la formulazione della risposta da parte dell’intervistato a favore o contro, ad esempio, “dell’operazione militare speciale”. Se al posto di “operazione militare speciale” si cita la parola “guerra”, la gamma di opinioni registrata può essere completamente diversa, perché per senso di sicurezza l’intervistato aderisce alla propaganda prevalente, all’opinione prevalente.

Poiché la propaganda è capace solo di plasmare la realtà parallela attuale ma non è in grado di formulare il futuro, la soluzione al problema espresso sopra può essere una diversa formulazione della domanda, come situazione di attesa e possibilità di cambiamento: il futuro, anche per una persona soggetta alla propaganda, è un “capitolo non ancora scritto”, non si può prevedere come potrebbe svilupparsi una situazione. Formulare la domanda sul futuro apre un orizzonte diverso, e la persona intervistata, nel rispondere, sarà più sincera, partirà dalle proprie convinzioni interiori.  

Un esempio di tale metodologia sono i sondaggi condotti dalla società Russian Field, che ora pubblica su Instagram, essendo per il resto bloccato dalle autorità russe.

Un quadro interessante è tratteggiato dal sondaggio, condotto nel tempo da Russian Field, da aprile 2022 a ottobre 2023. Quindi alla domanda: “Secondo Lei, è ora necessario in Russia continuare l’operazione militare sul territorio dell’Ucraina o passare ai negoziati di pace?”, per la prima volta i sostenitori dei negoziati di pace sono saliti al ​​48%, rispetto al 35% registrato nell’aprile 2022, mentre chi sostiene la continuazione dell’operazione militare speciale è calato al 39%, con una forte diminuzione rispetto al 54% registrato ad aprile 2022.

Alla domanda successiva, “Se Vladimir Putin firmasse un accordo di pace domani e interrompesse l’operazione militare, sosterrebbe tale decisione?”, la risposta positiva è stata del 74%! Solo il 18% ha risposto che non sosterrebbe tale decisione. Se ricordiamo che in generale il 70% degli intervistati sosteneva l’operazione militare speciale, se ne deduce che i russi non sono un popolo guerrafondaio, ma piuttosto un popolo che mira a sostenere le decisioni del potere supremo nel paese.

Una svolta è emersa anche rispetto alla seguente domanda: “Ritiene che ci si possa fidare dei dati ufficiali sull’andamento dell’operazione militare nel suo complesso?” Se nel febbraio 2023 chi riteneva di non potersi fidare era il 45% degli intervistati, nell’ottobre del 2023 questa percentuale è salita al 50%, mentre la percentuale di chi ritiene di potersi fidare è sceso dal 48% al 44%.

Certo, è difficile per ora dire che la maggioranza del popolo russo è favorevole alla fine della guerra in Ucraina, ed è ancora più difficile affermare qualcosa di ragionevole rispetto alla restituzione dei territori occupati all’Ucraina. Ma la dinamica dei sondaggi ci porta a ritenere che il prolungarsi della guerra porterà inevitabilmente ad una progressiva ostilità del popolo russo rispetto alla guerra stessa. E ci sono già esempi in questa direzione. Nelle ultime tre settimane in diverse regioni della Russia sono comparsi gruppi organizzati di madri e mogli di militari arruolati per la guerra in Ucraina che chiedono il ritorno a casa dei loro uomini.

Nei mesi di settembre e ottobre, i partecipanti al canale Telegram Put’ Domoj (La via di casa) hanno scritto appelli a varie autorità, al presidente Putin, al commissario per i diritti umani, ai governatori di varie regioni, più o meno dello stesso tenore: è passato un anno dall’inizio della mobilitazione, i militari sono stanchi, versano in una difficile condizione morale e psicologica, per cui hanno bisogno di essere rimandati a casa. In risposta, le donne hanno ricevuto risposte burocratiche formali o sono state semplicemente ignorate.

“Quanto tempo dobbiamo aspettare? Dov’è la giustizia? Rispondete alle nostre domande! Abbiamo bussato alla vostra porta e non avete aperto. Ci siamo spinti fino alle vostre finestre e ci avete salutato da dietro il vetro. Dobbiamo forse abbattere a calci le vostre porte? È questo che volete? O è meglio passare dal nostro monologo ad un dialogo comune?”. È questo il contenuto di un post del 30 ottobre di quest’anno. Ricordiamo che secondo i dati ufficiali, nel settembre 2022 sono stati mobilitati circa 300mila civili e che la fine del periodo di servizio non era indicata nel documento di arruolamento firmato da Putin. Inoltre ad oggi non è stato emanato alcun decreto sulla fine della mobilitazione. Putin si è limitato ad una dichiarazione verbale sulla fine della mobilitazione durante una conferenza stampa.

Pertanto, gli arruolati restano in servizio per un tempo illimitato e la mobilitazione può essere ripresa in qualsiasi momento. Stanche di ricevere risposte burocratiche, le donne hanno deciso di organizzare manifestazioni il 19 novembre nelle 30 regioni in cui vivono gli iscritti al canale Telegram.

I partecipanti al canale Telegram Put’ Domoj (La via di casa) di Krasnoyarsk hanno dovuto affrontare una vera e propria provocazione da parte delle autorità. L’amministratrice del canale, evidentemente sotto pressione, ne ha affidato la gestione all’assistente della deputata locale del parlamento regionale, Elena Penzina, dopodiché il canale Telegram è stato cancellato. La deputata Penzina ha quindi rilasciato il seguente comunicato, rivolgendosi alle madri e alle mogli dei mobilitati: “Vi chiedo di calmarvi, di chiudere le vostre adorabili boccucce e di non creare confusione. I ragazzi stanno difendendo la vostra vita sazia e allegra. Se torneranno, il ’17 (intendendo la rivoluzione del 1917) vi sembrerà rose e fiori”. Questo cinico delle autorità nei confronti delle donne indignate ha poi portato al divieto di manifestare, adducendo come ragione il fatto che prestare il servizio militare per contratto o per chiamata è dovere di ciascun cittadino, e le manifestazioni sarebbero quindi state contro la legge.

Ma a Novosibirsk, i partecipanti al canale Telegram “Manifestazione a sostegno dei mobilitati” hanno potuto organizzare una manifestazione in un formato diverso, sotto forma di un incontro chiuso cui hanno partecipato solo i parenti dei mobilitati. I partecipanti al raduno hanno formulato le seguenti richieste: la definizione del periodo massimo di servizio nell’operazione militare speciale (non più di 1 anno), l’istituzione di periodi di rotazione per le unità situate nella zona di combattimento (al massimo ogni 3 mesi) e di periodi di congedo programmato (almeno 1 mese ogni semestre), nonché un cambiamento nell’approccio in termini di assistenza medica e valutazione dello stato di salute dei militari. Hanno chiesto di ratificare a livello legislativo le suddette richieste. I partecipanti all’incontro hanno consegnato al rappresentante dell’amministrazione della regione di Novosibirsk gli esiti del loro lavoro.

È chiaro che tutte queste iniziative e richieste sono formulate in modo da non contraddire la propaganda patriottica ufficiale, ma esse denotano la tragica insoddisfazione per l’attuale stato delle cose. Come è scritto su Telegram: “La situazione è incandescente, essa ha portato noi, i familiari, alla disperazione, e i mobilitati ad un livello di stanchezza, sia fisica che morale, ormai critico”.

Abbiamo ancora bisogno di questa guerra?

Yegor Balazeikin, 17 anni, condannato per aver tentato di appiccare il fuoco agli uffici di registrazione e arruolamento militare lanciando bombe molotov contro le porte degli uffici (le bottiglie peraltro non sono esplose

In questo contesto si sono verificati altri due eventi tragici.  Il primo incidente è avvenuto in uno dei poligoni di tiro a Mosca. Mark Inkeles, 23 anni, si è sparato durante un’esercitazione. Aveva scritto ai suoi amici di aver ricevuto il richiamo all’arruolamento, che non voleva andare in guerra e aveva detto loro che si sarebbe suicidato. Gli amici hanno chiamato il poligono per avvisare, ma non sono stati creduti.

Il secondo evento riguarda la condanna a sei anni di prigione, comminata dal tribunale di San Pietroburgo ad un minore, Yegor Balazeikin, 17 anni (nella foto), per aver tentato di appiccare il fuoco agli uffici di registrazione e arruolamento militare lanciando bombe molotov contro le porte degli uffici (le bottiglie peraltro non sono esplose). Nel suo intervento finale al processo, Yegor afferma che l’indifferenza verso la guerra è peggio che sostenerla. “Non mi sto giustificando. Non c’è nulla per cui debba giustificarmi. Mi giustifico davanti alla mia anima, e mi giudica la mia coscienza… I miei genitori hanno una vecchia casetta. Vecchia e fatiscente. Ho continuato a cercare di capire quale fosse il rapporto tra Mariupol bombardata e la mia vecchia casetta”, ha detto Yegor in tribunale.

Ricordando suo zio, un ufficiale dell’esercito russo morto nella guerra in Ucraina, Yegor ha detto: “Non c’era posto per (mio zio) nella Russia di oggi. Per lui hanno trovato posto solo nelle squadre d’assalto. Come carne da macello, non trovo un’altra definizione. Davvero non si poteva trovare per lui un altro posto?”

E concludendo si è rivolto ai presenti in aula e forse anche a noi: “Se mi amate e mi rispettate, vi chiedo di fare una cosa sola. Non per me, non per qualcun altro: per voi stessi. Quando restate soli, parlate con il vostro cuore e fatevi un’unica domanda La domanda è: “Abbiamo ancora bisogno di questa guerra?’


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