Formazione
La scuola finisce, i problemi restano?
Lo psicologo scolastico, per essere efficace e garantire l’avvio di processi e progetti continuativi, deve essere presente a livello strutturale a scuola. Per diventare un riferimento per i ragazzi ma anche per fare sentire la scuola capace di gestire le situazioni più critiche. Riceviamo la riflessione dei prof. Cacciamani, Castelli e Confalonieri
L’anno scolastico finisce in questi giorni e le ultime settimane sono state nuovamente caratterizzate da episodi critici di violenza, a confermare ancora una volta quanto questa istituzione sia importante per la crescita dei giovani, ma non sempre in grado di comprendere e affrontare da sola quanto il quotidiano può far emergere. Più volte si è ribadito quanto la scuola sia un’organizzazione complessa, con molti attori e diversi obiettivi e di come a livello internazionale sia da tempo riconosciuta la necessità di figure professionali quali quella dello psicologo scolastico, che supportino – senza sostituirsi – gli adulti e i giovani che la scuola abitano, al fine renderla in grado di affrontare le criticità ma anche la normalità nel miglior modo possibile, ovvero in modo orientato al benessere e alla crescita di tutti i componenti di questa istituzione.
Molti progetti sono stati rivolti alla scuola con l’intento di affrontare problemi specifici o situazioni di emergenza improvvise, come accaduto con la recente pandemia da Covid-19. Essi risentono, tuttavia, del limite di non poter offrire un’adeguata sostenibilità e continuità nel tempo agli interventi previsti.
Pensiamo che sia evidente come soltanto l’istituzione a livello normativo di una figura esperta come lo psicologo scolastico, presente a livello strutturale a scuola, possa garantire l’avvio di processi e progetti continuativi, facendo sì che le diverse istanze portate da studenti, insegnanti, personale scolastico e genitori trovino prima di tutto il giusto ascolto, successivamente la giusta analisi in termini di bisogni e risorse già presenti, così da arrivare a promuovere modalità di presenza strutturate e permanenti nella scuola. Gli psicologi, infatti, sono già presenti nelle scuole, ma spesso in modo discontinuo o frammentato, con la disponibilità di un monte ore limitato: in tali condizioni organizzative e lavorative si rischia di lavorare solo sull’urgenza o sull’emergenza e diventa sempre più difficile creare una cultura condivisa dell’educazione tesa davvero al conseguimento del benessere psicosociale nel medio e nel lungo termine.
L’esperienza internazionale e anche quella nazionale indicano invece che quando lo psicologo riesce ad essere presente in modo continuativo e per un numero importante di ore nelle scuole si riscontrano effetti positivi di tale presenza, che diventa a tutti gli effetti elemento organico dell’istituzione, parte del sistema e non figura precaria, di passaggio.
Per poter lavorare bene con la scuola bisogna infatti conoscerla, frequentarla, osservarla, e questo chiede tempo: tempo che consentirà poi di intervenire in modo coordinato ed efficace con effetti a breve e a lungo termine, promuovendo quindi effettivo cambiamento a livello organizzativo, relazionale e di apprendimento.
Accanto all’obiettivo di fare prevenzione riguardo a situazioni di violenza, di discriminazione, di povertà educativa, la presenza sistematica dello psicologo risulterebbe cruciale nel promuovere competenze e strategie che consentano di far sentire la scuola in grado di affrontare situazioni critiche e di promuovere sempre più una visione volta al benessere e alla sostenibilità di un’educazione efficace. Per evitare che la scuola finisca, ma i problemi restino irrisolti, ripresentandosi nel nuovo anno, occorre quindi un passo cruciale: l’istituzione a livello normativo della figura dello psicologo scolastico.
Prof. Stefano Cacciamani, Università della Valle D’Aosta
Prof.ssa Ilaria Castelli, Università degli Studi di Bergamo
Prof.ssa Emanuela Confalonieri, Università Cattolica del Sacro Cuore
Foto Unsplash
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.