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La scuola riscopra il vocabolario delle emozioni

I ragazzi hanno sempre meno dimestichezza con le parole per dire le emozioni, soprattutto quelle negative o scomode. Ma l'educazione alla vita emotiva deve entrare nelle scuole: le punizioni non bastano

di Vanna Iori

La vita emotiva è una dimensione essenziale nel rapporto con noi stessi e con gli altri. Ne facciamo quotidianamente esperienza, eppure non sempre troviamo le parole per nominare i nostri stati d’animo, le infinite tonalità emotive di cui è intessuta la nostra giornata, per accorgerci dell’indicibile spesso nascosto dietro maschere o corazze che non lasciano trapelare i nostri vissuti.

Soprattutto negli adolescenti e nei giovani appare oggi particolarmente diffusa la difficoltà di trovare un lessico e di dare un nome a ciò che provano. Tutti i luoghi educativi, e principalmente la scuola, devono quindi attivarsi per fornire strumenti e aiutare i ragazzi ad acquisire consapevolezze su questo versante della loro esistenza, per prevenire il diffondersi del disagio e migliorare la qualità delle relazioni.

La storia della scuola è contraddistinta dal ruolo prevalente – e spesso esclusivo – assegnato alle competenze logiche e intellettive nei percorsi formativi, ma la dimensione cognitiva e quella affettiva, il pensare e il sentire non sono separabili. L’intelligenza non è soltanto razionale, non riguarda soltanto l’attività cerebrale, mentale, non può essere limitata alla capacità di applicare regole o eseguire meccanicamente compiti e risolvere problemi; comprende invece le multiformi sfaccettature che si manifestano attraverso la consapevolezza delle proprie emozioni e abilità relazionali nell’armonica interazione di cuore e mente. Imparare a coltivare la vita emotiva arricchisce dunque la dimensione professionale ed è una preziosa qualificazione dei percorsi formativi scolastici, poiché è una competenza di base.

Per ascoltare il linguaggio delle emozioni occorre un tempo quieto in cui lasciar parlare il nostro mondo emozionale, senza farsi schiacciare da autocensure o da pre-giudizi, cercando invece di cogliere le emozioni positive e farle diventare fonte di energia per alimentare le relazioni, ma anche di riconoscere e legittimare tutti i sentimenti che avvertiamo, di interrogarci su quelli che non vorremmo sentire, e di chiederci quale sia la nostra scelta di fronte al nostro stato d’animo. Il problema non è infatti provare o non provare un sentimento (posso impedirmi di “sentire”?), ma decidere il comportamento conseguente. I sentimenti non sono soltanto i buoni sentimenti: ci sono anche quelli negativi o scomodi, di cui tuttavia è opportuno imparare ad avere consapevolezza per recuperare armonia ed equilibrio esistenziale.

L’attenzione alla vita interiore aiuta a sottrarsi alla logica della prestazione e ad entrare consapevolmente nella relazione, a comprendere, esprimere, orientare le emozioni che attraversano le relazioni, a dare senso ad un progetto esistenziale, a sottrarsi ai sentimenti di indifferenza che corrodono il nostro momento storico, a sfuggire alla degenerazione della noncuranza in cinismo. Tutti coloro che svolgono lavoro di formatori, educatori, insegnanti dovrebbero includere nei loro percorsi di consapevolezza personale e professionale, lo sviluppo delle competenze emotive.

Stiamo affrontando un’emergenza senza precedenti. I ragazzi hanno bisogno di essere ascoltati e di essere aiutati a comprendere come affrontare la complessità della loro vita emotiva. Non si tratta di giustificare, ma di non rassegnarsi a un dato ineluttabile. Le punizioni non sono sufficienti di fronte a cambiamenti culturali e sociali di questa portata, che sono invece bisognosi di percorsi educativi.

Ma dove e come i giovani possono esplorare questo settore vitale della formazione in modo più approfondito? La capacità di operare scelte di vita, usando la consapevolezza di sé, l’empatia e le abilità sociali è ciò che una diffusa educazione emotiva potrebbe fare per la prevenzione del disagio e la promozione della consapevolezza di sé. Oggi la grande sfida dei sistemi educativi, iniziando dalla scuola, è proprio questa: tenere insieme le competenze emotive con quelle cognitive. Fare scuola oggi non può prescindere da questo tentativo. Cosa sono le competenze se non la capacità di usare consapevolmente e efficacemente le conoscenze e le attitudini in rapporto ai contesti?

Mi auguro che nei prossimi mesi si possa tornare a investire sugli strumenti di sensibilizzazione, di educazione all’affettività e di lotta agli stereotipi. In Italia si affida questo compito alla capacità di iniziativa di singoli dirigenti scolastici o docenti che, nell’ambito dell’autonomia concessa a ogni scuola, decidono – con il consenso e la collaborazione delle famiglie – di avviare dei percorsi specifici per dischiudere la capacità di stare nell’incertezza e mantenere la direzione di senso. Ma serve anche investire nella comunità educante per rilanciare quel rapporto di rete che tenga in sicurezza i giovani, ridando un ruolo alle famiglie grazie all’aiuto di chi sa svolgere un lavoro di cura. Non arrendiamoci all’ineluttabilità della depressione o della violenza. Insegniamo altri linguaggi che sviluppino le competenze emotive.

Foto di Domingo Alvarez E su Unsplash

*Vanna Iori, pedagogista, è ordinaria di Pedagogia all'Università Cattolica di Milano


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