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Migranti e Politica

La sindaca: «Se non si torna all’accoglienza diffusa, i nostri territori “esploderanno”»

Continua la nostra inchiesta sul sistema di accoglienza in Italia. Dialogo con Eleonora Ducci, sindaca di Talla (Ar), che spiega le differenze strutturali tra il Sistema pubblico Sai e un Centro di accoglienza straordinaria-Cas dove un sindaco non ha poteri, si lavora al ribasso sulle gare e «le persone sono stipate come bestie»

di Gabriella Debora Giorgione

Castel Focognano, Castel San Niccolò, Chitignano, Chiusi della Verna, Montemignaio, Ortignano Raggiolo, Poppi, Talla: non è un itinerario di viaggio della Toscana aretina, ma un viaggio nell’Unione dei Comuni del Casentino che è attualmente capofila di un progetto del Sistema accoglienza e Integrazione-Sai di Anci e Viminale.
Il Sai del Casentino ha una storia ad alti e bassi. Capofila del progetto (che, all’epoca, era denominato Sistema per la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati-Sprar) era il Comune di Arezzo, ma quando l’amministrazione di centrosinistra perde le elezioni, la nuova giuntadi una coalizione di centrodestra, decide di dismettere il progetto Sprar.
La provincia di Arezzo allora decide subentrare quale capofila del progetto di accoglienza che contava 55 posti diffusi in tanti appartamenti in tutta la provincia. Nel 2018, anche l’amministrazione provinciale cambia governance e esecutivo, una coalizione di centrodestra, decide di eliminare il progetto Sprar. L’Unione dei Comuni del Casentino, a quel punto, riesce a “prendersi” lo Sprar e ne subentra come capofila. Quando nella provincia di Arezzo anche altri comuni cambiano “colore” politico , passando da coalizioni di centrosinistra a coalizioni di centrodestra, chiudono altri Sprar. Nel frattempo, diventano partner del progetto Sai dell’Unione del Casentino anche Pratovecchio Stia, Bibbiena, San Sepolcro, Bucine, San Giovanni Valdarno, Terranova Bracciolini, Loro Ciuffenna. In totale, oggi il progetto Sai del Casentino ha una capienza di 65 posti adulti e famiglie diffusi in quasi tutti i Comuni partner del progetto. Tutto rose e fiori? No, perché accanto ai Sai nel territorio coesistono anche i Centri di accoglienza straordinaria-Cas, sui quali il governo Meloni sta puntando per gestire quella che, appunto, chiama “emergenza”. E qui arrivano i problemi.

Ne parliamo con Eleonora Ducci, 37 anni, al secondo mandato di sindaca di Talla e presidente dell’Unione dei comuni.

In uno stesso Comune, ci sono persone che vivono due pianeti opposti: alcuni sono nei nostri Sai e con loro facciamo cose straordinarie; altri sono stipati dentro i Cas dove gli misurano lo spazio in metri cubi, come si fa con gli animali

— Eleonora Ducci

Sindaca Ducci il criterio con il quale avete distribuito gli alloggi che accolgono le persone migranti nel Sai qual è?

Non possiamo sistemare le persone in luoghi abbandonati e avulsi da qualunque tipo di servizio. Il punto sta proprio qui: il nostro gestore è Arci Toscana in cui lavorano circa 15 persone e ogni volta che viene il servizio centrale a fare ispezione il verbale è sempre di giudizio positivo. Abbiamo molti inserimenti lavorativi, famiglie che sono rimaste nei nostri territori, un progetto insomma che funziona benissimo.

E che vi aveva messo al riparo dalle assegnazioni prefettizie, grazie alla clausola di salvaguardia…

Guardi, quella non è più assolutamente rispettata da nessuno, da anni! Ma non è stata mai rispettata, la realtà dei fatti è questa.

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E com’è possibile, scusi?

Le dico tutta una serie di cose che non sono più rispettate da molto tempo. A Talla avevamo comunque la presenza di un Centro di accoglienza straordinaria-Cas, prima un vecchio albergo e poi alcuni appartamenti, una quindicina di persone in tutto. Era il periodo della prima emergenza, le Prefetture e la regione Toscana partecipavano in maniera attiva e avevano un ruolo di controllo, di supporto ai sindaci per cercare di applicare il criterio della famosa accoglienza diffusa che mette equilibrio tra popolazione residente e persone migranti in arrivo. Anche quando venivano fatti i sopralluoghi ci veniva data comunicazione e noi sindaci potevamo tranquillamente andare con la Prefettura e partecipare, prendere contezza della situazione dell’accoglienza. Come Unione dei Comuni abbiamo anche fatto dei progetti di integrazione con i Cas: arte contemporanea, percorsi di contaminazione con giovani artisti toscani, quindi anche esperienze che poi sono diventate molto positive.

Bene, tutto positivo. Ma dove nasce la crisi, allora?

Con le prime norme Salvini, da un lato lo Sprar si snatura: fuori tutti i richiedenti asilo, si restringe sempre di più la platea dei beneficiari. Contestualmente si riducono anche in maniera importante gli importi e i servizi che vengono richiesti ai Cas: niente corsi di lingua italiana, niente trasporti, niente integrazione.

Tutte cose che restano, invece, nei progetti Sai…

Ma il Sai è tutto un altro mondo, è completamente un altro pianeta. Lei si immagini che in uno stesso Comune ci sono persone che fondamentalmente hanno le stesse caratteristiche ma che vivono due pianeti opposti: alcuni sono nei nostri Sai e con loro facciamo cose straordinarie; altri sono stipati dentro i Cas dove gli misurano in metri cubi, come si fa con gli animali, lo spazio dove devono stare e gli si dà un bagno ogni dieci persone! Questa cosa mi fa rabbrividire. I criteri individuati per l’adeguatezza di queste strutture Cas sono veramente vergognosi: se io penso a quello che a noi Enti pubblici ci fanno penare per fare per raccogliere le persone, per esempio in una Rsa, e quello che invece applicano in questa situazione con i criteri per i Cas è una roba che non è civile. Perché allora da qualche parte si sbaglia: o si esagera con quello che chiedono a noi per una Rsa o strutture simili oppure si chiede troppo poco ai Cas.

Infografica tratta da Openpolis

Quindi è da qui che a Talla nascono i primi problemi?

Quando tu riduci molto gli importi e i servizi che tu chiedi ai Cas, c’è lassismo: questi ragazzi vanno seguiti, non si può pensare di lasciarli soli senza un’assistenza psicologica, alcuni di loro hanno avuto dei percorsi anche molto complicati, non vengono da una passeggiata di salute come qualcuno vuole farci credere, magari hanno anche traumi che gli rimangono e che li rendono paradossalmente pericolosi per sé e per chi sta loro intorno, se non sono adeguatamente gestiti. Le persone sono anche l’effetto di ciò che hanno vissuto, quindi non si può pensare che se li butti così a caso e senza nessun supporto anche psicologico funzioni automaticamente l’autogestione. E quindi a Talla cominciavamo ad avere seri problemi con il soggetto gestore, anche dopo la gestione dell’emergenza Ucraina, ma la Prefettura non ha mai dato risposta. Nel frattempo torna questa “spinta” emergenziale, iniziano ad aumentare le persone in arrivo. Ricevo la mera informazione dalla Prefettura perché c’è una clausola che prevede che il sindaco debba essere sentito quando si aprono queste nuove strutture Cas anche se in realtà il suo parere non è vincolante. Io mi sono opposta in maniera categorica: noi abbiamo sempre accolto, a Talla. Ma io non mi sentivo garantita prima di tutto perché la Prefettura stava sistemando 25 persone in una struttura che ne poteva ospitare 15. Da 25 passiamo a 33 e poi a 38. Nei Cas si tratta di arrivi veloci, non siamo informati dove sono, cosa fanno. Se alle persone che arrivano tu dai solo da mangiare e da dormire e non dai niente da fare, non gli fai seguire corsi, non li impegni, è chiaro che tu cominci ad avere problemi. E io sono anche contraria a fargli fare il volontariato perché l’accoglienza è un diritto. Se noi facciamo passare il messaggio che se io ti dò un buono pasto per comprarti da mangiare tu mi devi tagliare l’erba ai giardini è finito lo Stato Sociale.

E da accoglienti, i tallesi han cominciato a spazientirsi…

Quando hanno iniziato a fare l’autostop, a mettersi in mezzo alla strada, a suonare i campanelli alle persone anziane in una frazione piccola dove abitano 100 persone, a sistemarsi nei giardinetti nuovi destinati ai bambini, io ho manifestato questi problemi alla Prefettura che è la referente del gestore del Cas, ma non ho trovato nessun ascolto e devo dire neanche dalla politica. E così ho cominciato a dirlo pubblicamente. E se lo dico io che sono sempre stata accogliente, vuol dire che la situazione di questa accoglienza gestita dalle Prefetture è fuori controllo. Io ho anche chiesto di essere presente durante i controlli all’interno del Cas, prima ci chiamavano, adesso invece mi hanno detto che io non potevo andare, che non ero più la benvenuta. Io, il sindaco, del Comune!

Io credo che loro sperino in una bomba sociale nei nostri territori così che saremo noi stessi a dire che ci vuole il rimpatrio. Non so se sono in malafede oppure sono incapaci, non vorrei sopravvalutarli

— Eleonora Ducci

E questa è una delle differenze più importanti tra un Cas e un Sai…

Certo! Nel Sai il Comune è responsabile di tutto, il Cas è privato. Un gestore partecipa a un bando e fornisce un servizio allo Stato, al Ministero dell’Interno per il tramite della Prefettura. L’altra differenza l’abbiam detta: nel Cas gli danno da mangiare e da dormire e via, il Sai lavora sull’integrazione e sulla persona. Tant’è che chi faceva i Cas più o meno con coscienza, oggi non partecipa neanche più ai bandi. E oggi il Ministero invita anche le Prefetture a partecipare ai bandi Fami-Fondo asilo migrazione e integrazione, assurdo.

E come l’ha risolta, allora?

Ho interpellato la commissione multidisciplinare della Azienda sanitaria locale-Asl, che è il mio “braccio armato”, perché è il soggetto che può andare dentro le attività anche private a verificare se quelle attività hanno requisiti previsti dalla legge. Perché io ritenevo che le persone che erano dentro alla struttura del Cas erano troppe e chiedevo di sapere se c’erano i requisiti per poter accogliere quel numero. Ho fatto richiesta ma il verbale non me lo hanno mandato. Mi hanno detto di mettermi l’anima in pace perché i criteri richiesti ad un Cas sono diversi da quelli che si richiedono ad esempio un agriturismo.

E nel frattempo avete posti liberi nel vostro Sai, giusto?

Abbiamo sei posti liberi che non possiamo utilizzare perché queste persone sono richiedenti asilo, quindi sei posti ce li “fumiamo” così. Ma c’è un’altra emergenza nell’emergenza: hanno fatto una circolare in base alla quale chi è dentro un Cas ma ha ricevuto il riconoscimento deve uscire immediatamente, anche se non sa dove andare perché si devono liberare i posti. Allora io mi sono fatta un’idea: che, in particolare, la Toscana e l’Emilia Romagna siano “sotto scacco” perché noi sindaci abbiamo detto di no agli Hub. Io credo che loro sperino in una bomba sociale nei nostri territori così che saremo noi stessi a dire che ci vuole il rimpatrio. Non so se sono in malafede oppure sono incapaci, non vorrei sopravvalutarli.

Nella foto di apertura: Eleonora Ducci, sindaca di Talla e presidente dell’Unione Comuni del Casentino

uno scorcio di Talla (Ar), foto di A. Ferrini


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