Malattie e famiglia

La Sla cambia la vita, ma non l’amore tra padre e figlia

Il 18 settembre è la Giornata nazionale Sla promossa da Aisla. Quest’anno l’associazione accende un faro sulle famiglie e sul loro bisogno di assistenza e cura. Davide Rafanelli, 56 anni fondatore di SlaFood e malato dal 2021, racconta le difficoltà quotidiane e il rapporto con la figlia. «Aurora è una bimba che ha dovuto diventare forte»

di Antonietta Nembri

Il 18 settembre del 2006 per la prima volta in Italia i malati di Sla, scesero in piazza Bocca della Verità a Roma per chiedere, tutti insieme attenzione, rispetto e i diritti fondamentali. Da quel giorno Aisla a settembre promuove la Giornata nazionale Sla che da quest’anno è stata istituzionalizzata e sarà sempre il 18 settembre.

Questa diciottesima edizione si svilupperà con eventi e iniziative di sensibilizzazione dal 18 settembre fino al weekend del 20 e 21. Accanto alla campagna ufficiale di Aisla per “Operazione Sollievo” (programma di aiuti che vanno dall’assistenza domiciliare agli ausili, dal supporto psicologico ai contributi economici…)  il focus è rivolto alle famiglie dei malati di Sclerosi laterale amiotrofica.

La malattia coinvolge tutta la famiglia

Quando la Sla colpisce una persona è tutto il nucleo familiare a venire coinvolto. Non è un caso che nel 2019 Aisla insieme alla Fondazione Mediolanum ha dato vita al Progetto Baobab, un percorso di ascolto, sostegno educativo e accompagnamento psicosociale per minori e famiglie. Da questa esperienza è nato poi il primo studio al mondo condotto con l’Università di Padova e pubblicato su Scientific Reports del gruppo Nature.

Davide Rafanelli e la figlia Aurora al mare nell’estate 2025

Sull’importanza di puntare l’attenzione sulla famiglia e i suoi bisogni abbiamo ascoltato Davide Rafanelli, 56 anni, dal 2021 ha una diagnosi di Sla. Due anni dopo ha dato vita a SlaFood, un’associazione che ha la mission di riunire chef e cuochi per la presa in carico nutrizionale di chi soffre di disfagia come i malati di Sla.  

Dall’ultima volta che l’ho incontrato, al Christmas Party di Aisla, la malattia ha reso la voce di Davide Rafanelli sempre più sottile, a tratti impercettibile. Tuttavia, ha voluto raccontarsi e rispondere alle domande che hanno riguardato anche le ricadute della malattia sulla crescita della figlia Aurora, otto anni il prossimo ottobre.

«È molto importante che la Giornata nazionale 2025 accenda un faro dentro le case delle famiglie che hanno bisogno di cure», dice Rafanelli. «Va sensibilizzata l’opinione pubblica su quello che vivono alcune famiglie. È notizia di pochi giorni fa la condizione di abbandono in cui si ritrovano in Basilicata i malati e i loro familiari è qualcosa di inaccettabile e inconcepibile. Serve una maggior attenzione dell’opinione pubblica e far sì che le famiglie si sentano e siano tutelate».

I suoi familiari come stanno reagendo alla sua malattia?

Hanno da subito compreso che il percorso della malattia avrebbe trasformato molte cose. Per fortuna ho una bellissima famiglia che mi ha sempre sostenuto e affiancato. Naturalmente ho delle difficoltà (di recente ha subito una tracheotomia, ndr.), ma mi sento circondato da una grande amore. E l’amore è la miglior cura, soprattutto perché al momento una cura non c’è. La mia famiglia è il mio punto di riferimento e la mia bimba è la mia meraviglia.

In particolare, sua figlia Aurora, come sta vivendo la malattia?

Ha vissuto le varie fasi della malattia del suo papà. È una bimba che ha dovuto diventare forte. Ha capito che il suo papà rimane ugualmente il suo papà. E questo è dato dalla sua dolcezza, dal suo amore infinito. È una bambina molto sensibile. Sicuramente va seguita perché va aiutata a tirare fuori tutte le sue emozioni. E infatti è seguita da un professionista.

Davide Rafanelli con la figlia Aurora in occasione della Giornata nazionale Sla del 2024

Lei è tra i fondatori di SlaFood, come è nata l’idea di questa realtà che si occupa di cibo?

SlaFood è un’associazione che ho voluto fortemente. È nata nel momento in cui sono finito in rianimazione. Mi sono detto se riesco a uscire da questa situazione voglio dedicarmi e donarmi a chi ha bisogno come me. Èd è così che ho creato SlaFood perché era qualcosa che sapevo fare: era tutta la vita che lavoravo nel mondo del food. Il cibo è un valore, un compagno di vita e di incontri. Cucinare è sempre stato un atto d’amore sia che lo facessi per me sia per i clienti di un ristorante. Ho voluto aprire una finestra proprio su chi, come me in questo momento, soffre di disfagia (uno dei primi sintomi della Sla che comporta difficoltà di deglutizione, ndr.).

Quale rapporto ha oggi con il cibo?

Con l’associazione si unisce da un lato la cucina e dall’altro la parte clinica, ci sono gli specialisti, i logopedisti. L’obiettivo è creare dei pasti sicuri per far vivere la bellezza della convivialità anche alle persone con la Sla e questo è molto importante per evitare l’isolamento degli stessi malati. Il rapporto con il cibo per me è rimasto invariato. Anzi forse è diventato più mio, si è potenziato.

Che ricaduta auspica per il progetto Baobab nella pratica della vita delle famiglie delle persone con Sla?

Una ricaduta molto positiva. Grazie allo studio si potranno avere informazioni molto importanti che possono definire lo stato della famiglia e la sua socialità sia dalla parte dei genitori sia dei figli che devono crescere con una mamma e un papà con la Sla. Spero davvero che ci siano informazioni che possano servire ad Aisla per aiutare al meglio le famiglie, attraverso un centro di ascolto e tutti gli strumenti che possono essere messi in campo. Mi sento molto positivo sul progetto Baobab e sono convinto che sia molto importante.

Tutte le immagini da ufficio stampa

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