Cultura

La testarda di Dio

Il camilliano la scelse per la sua capacità di tenergli testa. E lei, a sei mesi dalla sua morte, gestisce una casa di accoglienza per 350 persone.

di Sara De Carli

Alla domanda suor Teresa strabuzza gli occhi e ride di gusto: «Cosa è cambiato dopo la morte di fratel Ettore? Spero che non sia cambiato nulla, sarebbe un fallimento!». E mentre parla la speranza si fa più solida, cambia verbo, e diventa un «credo». Segno che l?obiettivo è questo: che l?opera di fratel Ettore resti fedele a se stessa. «Un fondatore lascia un?eredità», spiega. «È come un seme: piccolo, ma dentro c?è già tutto. A noi spetta il compito di coltivarlo e la responsabilità del discernimento. E a me anche quella di essere creativa». Suor Teresa Martino è la nuova presidente dell?associazione Missionari del Cuore Immacolato di Maria e della Famiglia delle Discepole di San Camillo, le due realtà che oggi gestiscono gli otto rifugi fondati da fratel Ettore Boschini, il camilliano dei poveri scomparso lo scorso agosto. È straordinariamente serena: «Non ho paura. Ho le mie fragilità personali, ma per quanto riguarda l?opera sarebbe un?assurda superbia pensare che sia io a portarla avanti. L?opera non è mia come non era di fratel Ettore». Suor Teresa è l?erede che lo stesso fratel Ettore ha designato per guidare la sua opera, anche se lei si schermisce: «Non è stata una decisione, ma un percorso. Io e Ettore abbiamo camminato insieme per tanto tempo, era ovvio che continuassimo insieme». Casa Betania, Seveso, a nord di Milano: la cappella di cristallo accoglie la tomba di fratel Ettore, e molta gente del paese viene qui a pregare. Lui è ancora presente: «Parliamo la stessa lingua», continua suor Teresa, «e stiamo scoprendo solo ora la sua grandezza: se l?opera va avanti anche senza la sua persona è perché ciò che ha realizzato è qualcosa di autentico. Lo sanno i benefattori, che continuano a essere generosi, lo sanno i volontari, che continuano ad arrivare, lo sanno i poveri, che continuano a crederci». I ?poveri di fratel Ettore? in questo momento sono quasi 350. Tre di loro sono morti poco dopo di lui, ma tanti altri sono arrivati. Come i volontari: Maria, 78 anni, continua a venire a Casa Betania ogni volta che riesce a trovare un passaggio (almeno tre volte alla settimana), come fa da vent?anni, mentre Massimo è arrivato solo a settembre, con un matrimonio fallito alle spalle e una rabbia ostentata nei confronti della Chiesa: oggi vorrebbe consacrarsi e diventare oblato. «L?associazione Missionari del Cuore Immacolato di Maria resta uno strumento provvidenziale per portare avanti la nostra opera», spiega suor Teresa. «Nel corso di questi anni tanti professionisti hanno messo a disposizione dell?opera le loro competenze, aiutandoci a trovare le forme migliori per utilizzare le offerte che la gente ci ha fatto e a realizzare strutture importanti come questa di Seveso». Una parola speciale suor Teresa la dedica a Goffredo Grassani, l?avvocato a cui fratel Ettore ha affidato le sue indicazioni per il futuro dell?opera: «Lui non fa parte dell?associazione, ma è il più fedele di tutti. In questi mesi di passaggio mi è stato vicino come un padre!». E i benefattori? Davvero le offerte non sono calate con il venir meno del carisma personale di fratel Ettore? Suor Teresa glissa, ma si capisce che non vuole nascondere nulla: «È solo che io di queste cose non ci capisco molto. Fratel Ettore invece, senza fare nessun conto, aveva sempre presente tutta la situazione: spero che questo dono venga anche a me. Ma sono certa che il Signore non farà mancare nulla ai suoi poveri». Neanche a farlo apposta, le passano una telefonata: per nulla imbarazzata lei mormora una serie di «Grazie Sua Altezza, la aspettiamo». È il principe di Yugoslavia, che ancora ricorda i container che fratel Ettore mandò a Rijeka durante la recente guerra, e vorrebbe tornare a Seveso, per visitare la tomba del religioso. Il sogno delle discepole Ma a essere sinceri una novità a Casa Betania c?è già. È la nascente congregazione, di cui suor Teresa ha appena consegnato in curia le costituzioni: la Famiglia delle Discepole di San Camillo. «Fratel Ettore ha voluto restare un camilliano, ma ha sempre desiderato che venisse riconosciuto il carisma religioso specifico della sua opera». Suor Teresa stringe la croce che porta al collo. Una croce rossa come quella dei camilliani, ma con un piccolo cuore azzurro al centro: «Siamo una famiglia religiosa, non un?opera sociale: la Uno bianca con la statua della Madonna sul tetto la usiamo ancora! Raccogliamo queste persone dalle vite disarticolate e senza radici, li tiriamo fuori dalla miseria fisica e spirituale, diamo loro la certezza che, contro ogni evidenza, c?è un futuro vero anche per loro». Con suor Teresa vivono Ester e Laura: entrambe 25 anni, hanno scelto di dedicare la vita all?opera di fratel Ettore, tra i più poveri dei poveri. Nessun sentimentalismo: «Le persone che raccogliamo sono gli ultimi: malati mentali, falliti, immigrati. Non esiste che uno stia per strada e viva nei propri escrementi per scelta. Per questo credo che anche i nostri volontari abbiano una vocazione particolare: si può essere affascinati dai bambini, ma la miseria di un adulto non ha nulla di attraente». Famiglia, lavoro, casa La povertà di chi arriva a Casa Betania è varia. C?è chi è senza un centesimo: perché è immigrato, perché è fallito, perché si è bevuto tutto. Chi è stato abbandonato dalla famiglia. Chi è stato scartato dalla società. «Questo non è il terzo mondo, dove la povertà è morire di fame», dice suor Teresa. «La realtà è più complessa, perché le povertà sono di tanti tipi, e ognuna richiede un tipo di intervento diverso. La sfida di oggi è legata alle povertà che nascono dalle dipendenze, soprattutto da gioco, e dalle malattie improvvise. Questa è una società che produce sempre più scarti». Di tutte le persone passate a Casa Betania, solo due sono riuscite a tornare fuori. Per tutti gli altri la comunità è diventata famiglia, lavoro e casa: il microcosmo dove si raggruma tutto ciò che nella vita ha senso. Chi può pavimenta la dispensa (tutto è stato costruito con il contributo degli ospiti), una signora toglie le tende del refettorio per lavarle, e tutti hanno in tasca un rosario. Mano a mano che la famiglia si allarga si staccano gruppi di 5/6 persone che vanno a vivere in piccole comunità: «Se gli si dà fiducia, li si responsabilizza, vengono fuori capacità insospettate». Eccola la creatività di suor Teresa. Fratel Ettore l?aveva intuita, in questa donna capace di furiose litigate con lui: «Il Signore deve averti fatto dono della sapienza per aver tenuto testa a uno come me». Forse l?ha scelta per questo. Tutti i numeri-Gli 8 rifugi Fratel Ettore, camilliano, morto l?anno scorso a Milano, da più di vent?anni si occupava di dare un tetto e assistenza materiale e spirituale ai poveri della città. L?associazione Missionari del Cuore Immacolato di Maria, da lui fondata, gestisce oggi otto rifugi in Italia e all?estero. Il più grande (a cui si riferiscono le fotografie di questa pagina) è Casa Betania, a Seveso (Milano). Altre due strutture si trovano in città, in via Sammartini (Stazione Centrale) e nel quartiere Affori; due sono a Bucchianico (Chieti), una a Grottaferrata (Roma) euna a Bogotà. Gli ospiti sono 350 in tutto. Info: Casa Betania delle Beatitudini tel. 0362.503264 www.fratelettore.it Parla Goffredo Grassani, l?avvocato dell?opera-Da patrono a postulatore Fratel Ettore lo chiamava ?il patrono?. Goffredo Grassani è il giurista dell?associazione Missionari del Cuore Immacolato di Maria, il capofila dei professionisti che da sempre hanno affiancato fratel Ettore. Un manipolo di tecnici al servizio della «sovrabbondante generosità di un?opera che non calcola e non programma l?accoglienza», spiega l?avvocato Grassani. Ci sono amministratori pubblici, tecnici, professionisti. «Gli ospiti dei rifugi impongono mille esigenze: di alloggio, di sanità. E poi c?è la gestione di lasciti, eredità, successioni». Insomma, è anche grazie a loro che fratel Ettore prima e suor Teresa ora possono permettersi di non cercare contributi o accreditamenti dagli enti pubblici, e di restare fedeli all?idea che l?opera è solo di Dio. «Il prossimo passo è trasformare l?associazione in una fondazione con presidente la stessa Teresa», continua Grassani. «Mi auguro che la congregazione cresca, ma per essere riconosciuta servono una quarantina di vocazioni: la strada è lunga!». Ma non è una cosa che l?avvocato teme: l?altra avventura in cui sta per imbarcarsi è quella dell?avvio della causa di beatificazione di fratel Ettore.

Partecipa alla due giorni per i 30 anni di VITA

Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.