Volontariato

La triplice alleanza

Non è vero che commercio, sviluppo economico e sostenibilità ambientale facciano a pugni. Anzi: sono tre tasselli irrinunciabili per costruire un mondo più equo.

di Redazione

Il dibattito è acceso nella società civile coinvolta e responsabile, e proprio nel mese di dicembre il focus è stato sullo stato comatoso dell?aiuto pubblico allo sviluppo italiano, strumento inevitabile per attuare quelle politiche di sviluppo che permetterebbero ai Paesi ?ricchi? di contribuire ad un mondo più giusto e più equo assicurando le risorse ai Paesi ?poveri? per permettere ai propri popoli una vita dignitosa e con prospettive di futuro.

Lungimiranza al potere
Il tutto richiederebbe anche un tipo diverso di crescita economica, che dipenda di più da capacità e intelligenza umane che dalle risorse naturali e grandi investimenti di capitali.
Anche di fronte a esempi di eccellenza come Svezia, Norvegia, Belgio, e nonostante gli impegni presi ufficialmente in sede internazionale come per gli Obiettivi di sviluppo del Millennio, la situazione impone alla società civile di fare uno sforzo incredibile (distogliendoci così dalle parti più costruttive delle nostre ?mission?) per richiamare il governo a rispettare gli impegni presi e per creare awareness rispetto ad approcci che possono cambiare il risultato atteso.
E’ ciò che accade a livello europeo, sia per la revisione a medio termine dell?Accordo di Cotonou sia per la verifica sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio, e a livello nazionale per quanto riguarda la riduzione ancora più drastica delle risorse per effetto delle Finanziarie degli ultimi anni, il mancato rispetto degli impegni internazionali, l?inefficienza amministrativa. Volendoci dare una visione di prospettiva, iniziamo dalle scadenze e dalle scelte che l?Europa si troverà di fronte verso il 2010, grazie a una proposta di scenari (da La cooperazione allo sviluppo dell?Europa verso il 2010 di Simon Maxwell e Paul Engel, European association of development institutes).
La cooperazione allo sviluppo dell?Europa ha vissuto profondi mutamenti a partire dalla fine degli anni 90, ma i cambiamenti che si profilano all?orizzonte saranno ancora più importanti (e problematici). Lungo il resto del decennio si prospetterà un complicato calendario di decisioni, su temi che vanno dal rapporto tra politica estera e sviluppo, all?impatto dell?allargamento e il futuro dei rapporti Ue-Acp (Asia Caraibi Pacifico) alle questioni riguardanti il ruolo dei commissari Ue e la struttura della Commissione. Per tutto questo serve una visione coerente del futuro.
Gli scenari si possono tracciare attraverso due fattori trainanti cruciali della cooperazione europea allo sviluppo: il grado di adesione al principio della coerenza, contrapposto alle strategie politiche autonome da parte dei singoli stati membri; il grado di adesione agli Obiettivi di sviluppo del Millennio e specialmente all?obiettivo di dimezzare il numero dei poveri assoluti entro il 2015.

Commercio contro povertà
Oltre ai progressi innegabili, restano in piedi alcuni problemi ben noti: il nuovo contesto di sicurezza, le condizioni dei Paesi più poveri, il finanziamento per lo sviluppo, i beni pubblici globali, le istituzioni della governance globale, la liberalizzazione del commercio e lo sviluppo, come raggiungere i Millennium Development Goals. I cambiamenti di ordine politico, economico e sociale determineranno un modo diverso di pensare allo sviluppo? Nonostante un quadro di insieme molto forte (l?impegno a centrare gli mdgs, una strategia consensuale su come ridurre la povertà, l?uso diffuso di strategie per la riduzione della povertà) non si è esenti da minacce. È possibile, ad esempio, che, in reazione alla presunta minaccia del terrorismo, l?intero panorama dello sviluppo sposti la priorità verso temi legati alla sicurezza, mettendo in secondo piano la riduzione della povertà? Comunque l?indebitamento mondiale è aumentato in maniera vertiginosa. Diversi milioni di persone sono costrette ogni anno a fuggire dal proprio Paese per trovare altrove una vita migliore, dimostrando attraverso questi flussi migratori, ormai di diretto interesse di tutti gli Stati, lo squilibrio del mondo, con le sue disuguaglianze, divisioni e aree di influenza. Continua l?imposizione di un modello per garantire a quel 20% scarso della popolazione mondiale lo standard di vita attuale, utilizzando e sfruttando l?80% delle risorse dell?intero pianeta.
Il rapporto tra politica estera e sviluppo resta in gioco. Molte ong hanno espresso il timore che lo sviluppo possa essere subordinato alle esigenze della politica estera, così come prosegue il dibattito sulla questione se la politica estera e la cooperazione allo sviluppo dell?Europa debbano o meno privilegiare il ?vicino estero? o se debbano invece concentrarsi sulla riduzione della povertà nei Paesi più poveri.
Il commercio rimane il fattore più importante ai fini dell?accelerazione della riduzione della povertà, molto più influente rispetto ad altri fattori quali innovazioni quantitative e qualitative dell?aiuto o una sua ridistribuzione settoriale.
Dal punto di vista di un Paese in via di sviluppo, i tre nodi principali riguardano la possibilità che le preferenze bilaterali siano o meno tutelate dai negoziati multilaterali del Doha Round; se e fino a che punto un successo di questi negoziati potrà migliorare in modo significativo le condizioni del commercio per i Paesi più poveri; e se firmare o no gli Accordi di libero scambio con l?UE, gli Stati Uniti o altri Paesi.

Tanti impegni, poche azioni
Sin dai tempi della convenzione di Yaoundé, quello della partnership è stato un tema che ha sempre caratterizzato i rapporti dell?Ue con il mondo in via di sviluppo, e ha rappresentato un concetto d?avanguardia all?interno della comunità per lo sviluppo: nella sua ampia definizione della portata della partnership (sia politica che economica), nella sua volontà di creare istituzioni mirate a favorire la partnership e nella capacità di sviluppare una forma (per quanto limitata) di reciprocità e vicendevole trasparenza. è questo anche il senso dell?evoluzione, nell?Accordo di Cotonou, dei rapporti tra Ue e Acp (Africa-Caraibi-Pacifico).
Il ruolo del WWF in questi ambiti risiede nel far riconoscere che la riduzione della povertà globale richiede la tutela dell?ambiente a livello globale. Nonostante il summit di Stoccolma nel 1972 e la reiterazione di questo principio vent?anni dopo a Rio, gli impegni in questo senso non si sono trasformati in azioni. Troppo spesso la protezione dell?ambiente è dipinta come un disturbo allo sviluppo economico o che riguarda le classi sociali ricche. Invece sono proprio i poveri del mondo che dipendono direttamente dall?ambiente naturale e sono coloro che subiscono maggiormente gli impatti da cambiamenti climatici, inquinamento e sfruttamento incontrollato delle risorse. I poveri che soffrono per una bassa qualità ambientale sono spesso forzati a inquinare o a usare risorse insostenibili perché non hanno alternative, specialmente in tempi di crisi o di conflitto. Il degrado ambientale è il sintomo della povertà, non la sua ultima causa. Il primo passo dovrebbe essere quello di scardinare i modelli economici che non riconoscono i limiti ecologici dell?attività umana e affrontare ciò che realmente serve per avere uno sviluppo sostenibile.

di Laura Ciacci
responsabile cooperazione allo sviluppo WWF italia

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