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L’albo degli educatori professionali socio pedagogici tra opportunità, illusione e confusione

All'esame della Camera una proposta di legge che pur volendo tutelare, attraverso l'istituzione di un ordine, la professione dell'educatore socio pedagogico (professione senza ordine in un mondo di professioni organizzate in ordini) presenta ancora contraddizioni da sanare nel passaggio in Aula. Come la confusione sulla necessità o meno di un esame di Stato e la dimenticanza dell'ambito socio-assistenziale

di Massimiliano Malè

Il 29 maggio 2023 è arrivato all’esame dell’Aula della Camera il testo unificato dal titolo “Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali”. Il testo unifica 4 diverse proposte di legge, aventi tutte a tema l’istituzione dell’ordine e relativo albo professionale. Anche se già da diversi mesi giravano informazioni al riguardo, l’istituzione di un albo per i Pedagogisti e per gli Educatori Professionali Socio Pedagogici, ha qualcosa di sorprendente.

Sorprendente perché in un’epoca in cui molti si dichiarano contro gli ordini e molti sono per la loro abolizione, viene presentata una proposta (anzi 4) di legge per istituire due nuovi albi. Ma sorprendente anche alla luce delle recenti norme sulla regolamentazione della professione di pedagogista e di educatore professionale, cioè la L. 205/17, commi 594-599 integrati dalla L.145/18, D.L.104/20 e DM 27/10/2021, che avevano definito le due professioni non organizzate in ordini e collegi. È pur vero che se l’avversità agli ordini è sentimento comune, di certo una professione senza ordine in un mondo di professioni organizzate in ordini e collegi può apparire decisamente debole in termini di tutela e promozione della professione stessa.

La proposta di legge

Fatta questa premessa, quali sono i contenuti del testo unico? Si tratta di una proposta di legge la cui numerazione è composta da 4 numeri: 596-659-952-991. Ogni numero corrisponde a una diversa proposta, la prima 596, presentata il 17/11/2022, e l’ultima, la 991 presentata il 14 marzo 2023. L’aver condensato 4 proposte di legge non ha di certo facilitato la tenuta logica del testo, che come vedremo presenta notevoli contraddizioni e probabili refusi. Ma entriamo subito nel merito.

Il perimetro professionale definito dalla proposta

Chi ha seguito l’evoluzione delle professioni pedagogico-educative si ricorderà bene i timori derivanti dalla L.205/17 comma 594, che riconosceva al pedagogista e all’educatore socio pedagogico la possibilità di operare in ambito socio-assistenziale, mentre dimenticava l’ambito socio-sanitario, mettendo così a rischio l’attività e il posto di lavoro di decine di migliaia di educatori nonché la tenuta dei servizi stessi. Ma si ricorderà altrettanto bene che nel 2018 la L.145 corresse quella dimenticanza, evitando esiti catastrofici per occupazione e servizi. Meno noti, ma davvero molto importanti sono l’art. 33-bis della D.L. 104/20 convertito con modifiche nella L.126 del 2020 e il conseguente DM del 27 ottobre 2021. Questi dispositivi hanno lo scopo di definire con maggiore precisione non solo il perimetro professionale dell’educatore professionale socio pedagogico, ma in termini più estesi il significato del limite degli “aspetti socio-educativi” della professione negli ambiti socio-assistenziali e socio-sanitari, tant’è che il titolo dell’anzidetto art. 33-bis è “Misure urgenti per la definizione delle funzioni e del ruolo degli educatori socio-pedagogici nei presidi socio-sanitari e della salute”. In sintesi, questo complesso processo normativo ha portato alla definizione, anche se piuttosto spettinata, del significato esatto della locuzione “aspetti socio-educativi” ripresa in tutte le norme, quale limite stesso dell’attività professionale. Si riconoscono, finalmente, quali sono le attività professionali riservate alle due professioni socio pedagogiche, che in sintesi si concretizzano nelle azioni che mirano al potenziamento e promozione degli apprendimenti nei diversi “domini di attività e partecipazione” (cfr. ICF, mio) in una prospettiva “abilitativa” (mio) inclusiva e di benessere, a supporto dell’implementazione del progetto di vita (cfr. art. 33-bis, L.126/20). Infine, un ulteriore contributo viene fornito dal DM del Ministro della Salute del 27/10/2021 che definisce, rispondendo anche alla questione della locuzione “limitatamente agli aspetti socio-educativi” di cui sopra, il limite invalicabile dell’azione socio-pedagogica che è l’ambito patologico e riabilitativo.

Purtroppo nella proposta di legge di cui trattiamo, questo complesso di norme che consente di inquadrare con una certa precisione le attività riservate alle due professioni pedagogiche viene in parte dimenticato, perdendo così l’occasione di fare una sintesi chiara ed esplicita della cifra professionale a loro peculiare. Infatti, nella proposta, le due professioni possono operare in vari comparti, tra cui, giustamente, quello socio-sanitario; paradossalmente però si dimentica, in entrambi i casi, quello socio-assistenziale, presente invece già nell’originario comma 594 della L.205/17. Non è questo uno svarione da poco e può avere negative conseguenze sulla definizione delle figure professionali richiesta dagli standard regionali per l’accreditamento dei servizi socio-assistenziali, creando di nuovo incertezze sia occupazionali sia per la tenuta del sistema di servizi.

I requisiti per l’esercizio dell’attività, ovvero la grande “stranezza”

Non mi addentro nella giungla delle classificazioni dei titoli di studio, che richiamano quelli già previsti dalle vigenti normative, ma è necessario concentrarsi sulle modalità di abilitazione alla professione, cioè sugli aspetti procedurali che consentono al professionista di accedere all’albo. Gli aspetti procedurali non sono mai cosa da poco, perché sono le coordinate che portano a destinazione oppure fanno perdere la strada. E qui ci si perde di sicuro.

Partiamo dal pedagogista. La proposta di legge fino ad un certo punto funziona: nell’art. 2 (requisiti per l’esercizio dell’attività di pedagogista) comma 3, ultimo periodo, si legge “[…] La prova valutativa di cui al secondo periodo è svolta prima della discussione della tesi di laurea, nell'ambito dell'esame finale per il conseguimento del titolo di studio abilitante all'esercizio della professione di pedagogista”. Parimenti alle professioni sanitarie, la laurea ha valore abilitante e non si deve ricorrere ad ulteriore “esame di stato” per l’abilitazione e l’iscrizione all’albo. Tutto sembra filare liscio, ma ecco, come direbbero i fisici quantistici, la prima stranezza: all’art. 9 (articolo titolato “Equipollenza”), comma uno si legge “All'esame di Stato di cui all'articolo 2[…]”. Ma di quale esame di Stato si parla? Nell’art. 2 non c’è alcun riferimento a esami di Stato, ma a una prova da effettuarsi prima della discussione della tesi, che conferisce alla laurea il valore abilitante.

Sfortunatamente le stranezze non sono finite qui, infatti nell’art. 4, in cui si trattano i requisiti per l’esercizio dell’attività dell’educatore professionale socio pedagogico e di educatore nei servizi educativi per l’infanzia (di quest’ultimo fino ad ora non si è mai fatta menzione: non si tratta attualmente di una professione, ma di un ruolo e qui non ha senso citarlo), al comma 1 lettera b), il metodo per l’abilitazione è congruente con quello del pedagogista, per cui la laurea risulta essere titolo abilitante. Tutto troppo semplice! A minare le nostre certezze ci pensa il successivo comma 2, dove si prescrive, ai fini abilitativi, l’esame di Stato. È un po’ quello che capita al povero al gatto di Schrödinger, che è un po’ vivo e un po’ morto contemporaneamente. Se quel comma non verrà corretto in sede di approvazione alla Camera, rappresenta un bel guaio: forse anche per il legislatore, ma di certo per l’educatore professionale socio pedagogico, e per lo stesso albo. Infine, in coerenza – si fa per dire – con quanto sopra, anche in questo caso l’art. 9, cita di nuovo l’esame di Stato, che in effetti anche se contro logica, nell’art. 4 è presente.

Conclusioni

L’analisi di cui sopra fa emergere diversi errori e contraddizioni nella proposta di legge, che di certo dovranno essere emendati per non pregiudicare la praticabilità della norma stessa. Da un punto di vista tecnico e contenutistico, gli ambiti operativi e i limiti professionali definiti a partire dalla L.205/17 fino al DM del 27/10/2021, dovevano essere pedissequamente riportati nella proposta di legge. Si poteva, anzi doveva, rimarcare che l’azione socio-pedagogica deve essere estranea agli ambiti patologici e riabilitativi, cioè al mondo della clinica e dei trattamenti terapeutici, riservando alle due professioni socio-pedagogiche aspetti abilitativi (anche su base ICF) in modo da consentire la connessione, ma evitando le sovrapposizioni, con le professioni sanitarie (DM 27/10/2021). Ma soprattutto si rischia di non cogliere il profondo ruolo che coinvolge l’attività dell’educatore e del pedagogista nel progetto di vita (cfr. Legge Delega 227/21); ruolo che ben si delinea nel già citato art.33-bis: “progettare, organizzare, realizzare e valutare situazioni e processi educativi e formativi […] finalizzati alla promozione del benessere individuale e sociale, al supporto, all’accompagnamento e all’implementazione del progetto di vita delle persone […]” (il grassetto è mio).

Resta aperta, in relazione alla professione di educatore professionale, la questione del divario dei due profili dell’educatore professionale, quello socio-pedagogico e quello socio-sanitario, che operano con modalità e strumenti molto simili, forse identici, e gomito a gomito. Questa norma non contribuisce a ridurre quella distanza, anzi potrebbe fare da barriera e acuire controversie, che agli occhi di chi opera quotidianamente appaiono sempre più assurde.

Infine, non si può non citare quello che rischia di essere il problema più impattante sul sistema dei servizi, cioè il fatto che l’iscrizione all’albo possa diventare un collo di bottiglia per l’offerta di professionisti. Sistema che sta evolvendo verso una sempre maggiore territorializzazione e personalizzazione degli interventi e che richiederà un maggiore coinvolgimento di Educatori e Pedagogisti soprattutto per l’implementazione del progetto di vita, che diventerà il principale strumento per la pianificazione degli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari. In ultima analisi la lettura delle proposte di legge lascia trasparire una solo parziale conoscenza da una parte delle norme che hanno istituito le due professioni pedagogiche, dall’altra della concreta operatività e delle competenze richieste dagli ambiti operativi di impiego e forse degli ambiti stessi.

*Massimiliano Malè è direttore della Coop. Sociale Nikolajewka Onlus di Brescia e componente del Consiglio direttivo nazionale di Confcooperative Federsolidarietà

Foto Pixabay


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