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L’America dell’accoglienza che sfida Trump

La rete del "Piccoli Comuni del Welcome" promossa dal Consorzio "Il Sale della Terra" di Benevento e la ong “Migrace” della Repubblica Ceca sono stati gli unici due soggetti stranieri invitati a partecipare a Dallas alla tre giorni del meeting “Interactive” di Welcoming America. Un incontro che ha mostrato un'idea di Stati Uniti lontana anni luce dal trumpismo

di Angelo Moretti

Il Consorzio Sale della Terra ha avuto la fortuna di essere scelto dalla rete “Welcoming America” come special guest a Dallas, per la presentazione del suo progetto di sviluppo locale noto come “Rete dei Piccoli Comuni del Welcome”, promosso otto anni fa e che oggi conta sessanta comunità accoglienti in tutta Italia, nelle municipalità con meno di 5mila abitanti. Tra gli ottocento convegnisti e le centinaia di reti non profit e municipali, che arrivavano da ogni Stato degli Usa, eravamo solo due esperienze europee ad essere state chiamate per il confronto, oltre noi la ong “Migrace” della Repubblica Ceca.

Sul sito di Welcoming America sono ben scritte le finalità del network statunitense: «È un’organizzazione senza scopo di lucro che guida un movimento di comunità inclusive che diventano più prospere promuovendo l’appartenenza di tutti, compresi gli immigrati». Lo slogan con cui Welcoming America si presenta è quanto mai efficace building a nation of neighbors, “costruire una nazione di vicini”, un po’ come dalle nostre parti si intende costruire un sistema di welfare di comunità basato sul concetto di prossimità. 

La domanda che non poteva non abitare con insistenza la mia mente era quella che chiunque si sarebbe posto in quel consesso in questo momento storico: «Ma come è possibile che nella nazione in cui almeno metà degli elettori tollerano gli insulti quotidiani ai migranti possa esistere un network così importante e contemporaneamente così a-politico?».


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Nella tre giorni del meeting “Interactive” di Welcoming America abbiamo potuto partecipare a seminari e tavoli di lavoro interessantissimi sulle storie di accoglienza nelle aree rurali statunitensi, sui modelli di contro-narrazione del “pericolo migranti”, sul civic-engagement e la promozione della leadership nei migranti dentro le comunità abitate, sulle forme della tutela legale, sulla promozione economica e sul rapporto tra intelligenza artificiale e l’accoglienza. Ed in nessun caso in tutti questi laboratori si è mai fatto cenno alla propaganda trumpista ed alla sua narrazione di “guerra ai migranti”.

Non solo: in tutti i seminari, ed anche nella visita guidata ad un centro di salute mentale nella periferia di Dallas , la polizia veniva presentata agli astanti non come un soggetto dotato di volontà politica, ma come una sorte di “dato naturale”, un flagello che si abbatte improvvisamente sulle comunità migranti, provocando gravi dolori e separazioni. 

Emblematico il caso della retata di Postville ( la cui drammatica storia è rintracciabile anche su Wikipedia), meno di 3.500 abitanti nello stato dello Iowa, di cui il 28,9% nato in terra straniera ed il 50% di lingua non anglosassone, in cui nel 2008 la temibile Ice (Immigration and customs enforcement, agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione) entrò di soppiatto nell’azienda agricola più grande della zona, l’Agriprocessor, per arrestare tutti i dipendenti stranieri e deportarli fuori dallo Iowa: oltre 400 lavoratori, le cui famiglie sono state broken apart, spezzate. La comunità accogliente di Postville non si è data per vinta ed ha continuato imperterrita ad organizzare l’accoglienza, a consolare le mogli ed i bambini rimasti in zona,  a ricostruire il tessuto sociale. Nessuna parola è stata pronunciata contro la polizia di frontiera dalle due speaker del progetto “Hearth and soul (cuore e anima, ndr) in Postville”, come se la tragedia fosse avvenuta per una calamità naturale, un terremoto o un’alluvione. La comunità si è rimboccata le maniche ed ha cominciato a ricostruire il tessuto comunitario colpito da una devastazione “emotionally, phisically, economically”. E ci è riuscita con una serie di azioni strategiche come la creazione di documento di benvenuto per i nuovi arrivati; il potenziamento dei servizi di mediazione linguistica negli eventi pubblici; l’adozione di misure intenzionali per garantire una rappresentanza diversificata nel consiglio comunale e nel comitato di benvenuto e così via. 

Appena ho potuto, ho preso in disparte una delle organizzatrici e le ho chiesto «Ma non avete paura di Trump?». «Siamo terrorizzati» è stata la risposta immediata

La domanda però non mi abbandonava e così appena ho potuto, ho preso in disparte una delle organizzatrici e le ho chiesto «Ma non avete paura di Trump?». «Siamo terrorizzati» è stata la risposta immediata. «Non possiamo parlarne perché le regole del non profit sono molto stringenti negli USA e se mai qualcuno ci accusasse di fare politica perderemmo immediatamente i fondi degli sponsor, ma il solo pensiero di un suo ritorno non ci fa respirare. Non è solo lui il problema, quello che qui vediamo è che c’è una tendenza sempre più recrudescente a imitare o superare il suo linguaggio volgare e violento, nei governatori, nei sindaci, nei capi della polizia». Mentre parla le trema la voce, si guarda attorno con sospetto , ha paura di essere ascoltata. Ci dice che chi è apertamente contro Trump rischia di essere perseguitato negli Stati repubblicani. La nostra conversazione avviene nel Texas, il più conservatore dei 50 Stati federali.

A destra Angelo Moretti, presidente “Sale della Terra” e referente nazionale della Rete dei Piccoli Comuni del Welcome. Con lui Antonio Luongo, progettista sociale “Sale della Terra”

Torno alla conferenza e guardo tutto con ancora più ammirazione, ci sono americani di ogni dove che stanno costruendo una contro-narrazione ai diktat di Trump ed hanno scelto Dallas per farlo, la città “gigante” per la sua economia forte, la città conservatrice per eccellenza, famosa per essere stata la location dell’assassinio del presidente più progressista della storia americana, JFK. Qui, senza dirlo apertamente, c’è un’America che lotta con la sua bandiera di nazione intelligente e liberale, divenuta grande proprio per la sua capacità di accogliere sognatori da tutto il mondo. 

I nostri piccoli comuni italiani, sempre più vecchi e sempre più spopolati, hanno tanto da apprendere da questa lotta di “welcoming America”, la stessa società civile europea alle prese con le nuove elezioni dovrà unirsi in questa lotta silenziosa ed efficace: o si diventa una Europa Welcome o saremo sconfitti dal futuro che incombe alle nostre porte, su cui la polizia di frontiera nel Mediterraneo avrà ben poco da fare o da dire. 

Oltre i partiti, oltre i candidati in campo, è la società civile che non dovrà mollare, che dovrà avanzare sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione dei nuovi europei, non come lotta ideologica, ma come un normalissimo “dover essere” delle nostre comunità. 

Ps: Quando ho spiegato che in Italia non esiste ancora lo Ius Soli per i nuovi nati, tutti gli americani con cui ho interloquito non capivano come fosse possibile. Neanche Trump lo ha mai messo in discussione nei suoi primi quattro anni di pessimo governo.


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