Territori
L’amministrazione condivisa per una città plurale
Riprendiamo l'editoriale del presidente di Labsus (Laboratorio per la sussidiarietà) che anticipa il convegno del 17 e 18 maggio a Roma in occasione dei 20 anni dell'ente e dei 10 anni dall'approvazione del primo regolamento per l'amministrazione condivisa
Sono trascorsi 20 anni dalla nascita di Labsus e 10 dall’approvazione del primo Regolamento per l’Amministrazione condivisa e il prossimo 17 e 18 maggio ci ritroveremo a Roma per riflettere insieme su quanto è stato fatto e tracciare le prossime tappe di un cammino che non può dirsi mai compiuto. Un’utopia realizzata la definisce il fondatore di Labsus Gregorio Arena, costruita sull’idea che considera i cittadini come soggetti portatori di capacità che possono essere messe a servizio della collettività per trovare, in collaborazione con gli enti pubblici, soluzioni a problemi di interesse generale.
I nostri primi 20 anni
Labsus, nel tempo, si è configurata come un vero e proprio laboratorio, all’interno del quale vengono favorite riflessioni e pratiche di Amministrazione condivisa, attraverso attività di comunicazione, ricerca, formazione e accompagnamento di numerosi soggetti attivi sul territorio, dalle amministrazioni pubbliche agli enti del terzo settore, ai cittadini, singoli o associati, interessati a trovare soluzioni innovative per la gestione condivisa dei beni comuni attraverso attività di interesse generale definite nella cornice dei Patti di collaborazione. L’adozione del Regolamento da parte di più di trecento comuni italiani, a partire da Bologna nel 2014, ha promosso un cambiamento enorme, innescato dall’attivazione di tante comunità di pratica in tutto il Paese che ha portato a ridefinire le regole del nostro ordinamento.
Un modello generale
Oggi, l’Amministrazione condivisa è un modello pienamente riconosciuto al pari di quello dell’amministrazione tradizionale. Un modello codificato, in particolare, nel Codice del Terzo settore, in cui i soggetti collettivi non vengono considerati portatori di interessi contrapposti ma alleati per perseguire, insieme alla pubblica amministrazione, finalità di interesse generale. Se oggi abbiamo una pluralità di strumenti collaborativi diversi tra loro per caratteristiche e tipo di utilizzo lo dobbiamo a quei cittadini, amministratori, associazioni, organizzazioni, che ne hanno favorito la diffusione, hanno sperimentato ambiti di applicazione e possibilità, superato criticità e legittimato quel modello attraverso la pratica quotidiana. Senza il Regolamento e i Patti di collaborazione, senza le diverse esperienze di cura dei beni comuni, non ci sarebbe stato tutto il resto. Attraverso l’impegno e la fatica di tanti precursori è partito un movimento spontaneo che, dal basso, ha cambiato le regole e favorito l’adozione di strumenti che dal livello comunale si sono allargati a unioni di comuni, ambiti territoriali, città metropolitane. Ci sono state, quindi, le prime leggi regionali sull’Amministrazione condivisa e il Codice del Terzo Settore, per giungere alla Sentenza della Corte costituzionale 131 del 26 giugno 2020 che legittima l’Amministrazione condivisa come attività “ordinaria” della pubblica amministrazione, non legata all’eccezionalità o sperimentalità degli interventi ma al reciproco riconoscimento fra istituzioni e Terzo settore.
Non va dimenticato il percorso fatto, soprattutto oggi, perché si corre il rischio di rinchiudere L’Amministrazione condivisa nel recinto degli strumenti accessibili solo al Terzo settore dimenticando quanto sia ricco il panorama di esperienze legate, per esempio, ai Patti di collaborazione attivati da semplici cittadini e gruppi spontanei.
Costruire l’ecosistema
Il punto su cui lavorare è quello che fa dell’Amministrazione condivisa un ecosistema basato su una molteplicità di strumenti collaborativi e una pluralità di soggetti diversi attivi nella comunità che va dai singoli cittadini, come indicato dalla Costituzione – è bene non dimenticarlo -, sino alle associazioni, ai gruppi informali, agli enti di Terzo settore, al mondo dell’impresa sociale e dell’impresa profit. Patti di collaborazione, processi di co-programmazione e co-progettazione, utilizzo e valorizzazione dei beni immobili inutilizzati e beni culturali, patti educativi di comunità ecc.., non sono strumenti che si elidono a vicenda ma, al contrario, possono essere utilizzati insieme per moltiplicarne l’efficacia.
L’Amministrazione condivisa ha oggi bisogno di essere inquadrata in una vera e propria funzione amministrativa, qualcosa di più dell’ufficio per i beni comuni, che possa garantire, insieme al coordinamento con gli organi di indirizzo politico amministrativo, l’attivazione dei soggetti civici attivi su un territorio attraverso processi e strumenti collaborativi applicabili a tutti gli ambiti di intervento delle politiche pubbliche, che prevedano anche efficaci strategie di misurazione dell’impatto delle azioni di cura dei cittadini e del patrimonio relazione prodotto.
Alle radici della democrazia
L’Amministrazione condivisa disegna nuove mappe e nuovi scenari in cui prende corpo una democrazia matura segnata dall’impegno di tanti soggetti diversi tra loro e diffusi sul territorio che fanno un passo avanti e decidono di attivarsi nella cura dei beni comuni. Su quelle mappe che le organizzazioni collettive e i cittadini attivi stanno costruendo in tutto il Paese attraverso l’esercizio della “autonoma iniziativa” sancita dal principio di sussidiarietà orizzontale si potrebbe tracciare una nuova rotta, elaborare una nuova cultura politica in cui riconoscersi. Attraverso gli strumenti collaborativi le comunità possono essere parte attiva di un processo di riqualificazione e di rigenerazione di porzioni più o meno ampie delle città così come contribuire a rendere più efficace un servizio integrandolo con le capacità e le competenze di cui ogni comunità è ricca. Nasce un nuovo equilibrio tra esercizio del potere, relazione di fiducia, condivisione di responsabilità che può rappresentare un indicatore per un modello sociale e istituzionale capace di produrre benessere per le persone nella misura in cui vengano offerti strumenti concreti che permettano loro di essere protagonisti a pieno titolo nella risposta ai bisogni propri e delle comunità di riferimento.
Su questi scenari proveremo a fare un bilancio e tracciare il percorso da fare, insieme a tanti compagni di strada con cui ci ritroveremo a Roma nei giorni del 17 e 18 maggio. Saremo felici di abbracciare chi vorrà raggiungerci per continuare ancora a fissare lontano lo sguardo. Insieme.
Partecipa alla due giorni per i 30 anni di VITA
Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.