Il mondo dell’immigrazione musulmana ha molto spazio nel cinema. Invece la pubblicità chiude le porte. Ancora troppi prencocetti dominano. Anche se ultimamente… di Ouissal Mejri
C Nessuno può negare che il cinema e la televisione sono lo specchio della nostra epoca. Ma a volte è uno specchio che riflette un’immagine distorta della realtà e dei linguaggi, soprattutto quando il protagonista, ad esempio l’arabo medio, è sempre un testimonial di qualcosa associato al negativo o surreale. Basta vedere i film.
Nella storia del cinema occidentale, ci sono due filoni che rappresentano gli arabi. Da una parte esiste quello dal “ciak si gira il lato magico incantevole della cultura araba” fatto di meravigliose favole riprodotte in cartoni animati tipo le Le mille e una notte e La lampada di Aladino . Questo lato fiabesco riproduce tutti gli stereotipi dell’arabo che Hollywood ha poi veicolato nei suoi film da Lawrence d’Arabia fino al recentissimo Zohan-Tutte Le donne vengono al pettine , film che prende in giro gli stereotipi non solo degli arabi in Medio Oriente ma anche i vicini di casa, gli israeliani.
Cammelli e harem
Si predilige sempre la rappresentazione di un popolo che proviene da terre lontane, di carovane, di cammelli e di harem, immagini che continuano ad essere usate non solo nel cinema di massa ma anche nelle pubblicità contemporanee. Infatti, nella nuova frontiera della pubblicità multietnica, i cliché del passato sono mescolati a situazioni moderne per cui è normale vedere in tv uno spot per un provider di telefonia nel quale una donna parla al cellulare da un harem. Manca ancora la jeep che scala le piramidi egiziane o la Sfinge che sostituisce la Gioconda e la Statua della libertà, ma prima o poi succederà.
L’altro filone invece è quello del “bad arab” dove l’uomo arabo è un personaggio spietato, barbaro, molto ricco. Nella comunicazione di massa cinematografica occidentale l’uomo arabo è anche spesso dipinto come ossessionato dalle donne occidentali ( La corsa più pazza d’America 2 del 1984). Gli egiziani sono stati identificati come nazi-simpatizzanti ( I predatori dell’arca perduta , 1981); dei terroristi arabi hanno provato ad abbattere la macchina di Michael J. Fox in Ritorno al futuro ; una setta egiziana rapinava giovani per bruciarli vivi in Piramide di paura del 1985. Questi sono alcuni esempi di rappresentazioni ricorrenti dell’arabo nel cinema di Hollywood.
Niente pubblicità
Da quando l’immagine del terrorista è diventata un leitmotiv nei telegiornali dopo l’11 settembre, oggi si evita di far recitare gli arabi e i musulmani nelle pubblicità occidentali anche quando essi sono pienamente cittadini integrati con un reddito medio alto. Però riscontro ultimamente una nuova linea di tendenza. Sembra che il cinema stia cercando di riabilitare una certa realtà grazie a film come Syriana di S. Gaghan (2005) oppure Munich di Spielberg dello stesso anno. I due registi non mettono da parte i pregiudizi sugli arabi ma non esitano, però, a mostrare l’altra faccia della medaglia, evidenziando nel primo film i giochi di potere legati al petrolio e nel secondo film il ruolo degli israeliani nella gestione successiva della vicenda del settembre nero del 1972.
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