Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Sostenibilità sociale e ambientale

Lassù dove volano i burocrati

I parchi nazionali sono 17, ma la maggioranza esiste solo per finta. «La natura merita di meglio. E noi possiamo offrirglielo»

di Gabriella Meroni

Chissà cosa direbbe oggi Alessandro Ghigi, fondatore della più antica associazione ambientalista italiana, la “Pro montibus et sylvis”, che dal 1899 si batté per l’istituzione del Parco nazionale d’Abruzzo. Chissà cosa direbbe, il buon Ghigi, delle condizioni in cui versano i 17 parchi nazionali italiani. La recente, minacciata chiusura del Parco del Gran Paradiso, infatti, è solo la punta dell’iceberg di un disagio profondo. Grandi problemi di finanziamenti affliggono i cinque parchi “storici” (Gran Paradiso, Abruzzo, Stelvio, Circeo e Calabria). Ma che dire degli altri 12, istituiti con la legge quadro del 1991, che hanno addirittura il problema della loro stessa esistenza? Molti di essi, soprattutto al sud, sono rimasti praticamente sulla carta, privi di strutture e di poteri. Parchi di carta Ma lo Stato che cosa fa? I parchi nazionali sono suo territorio. Possibile che, dopo averli fatti nascere, se ne disinteressi? E le associazioni ambientalistiche non potrebbero avere un ruolo maggiore nella loro gestione e buon funzionamento? «Nel 1991 votai contro la legge sulle aree protette, e non me ne pento», dice Luciano Cavéri, unico deputato dell?Union Valdotaine e presidente del gruppo parlamentare “Amici della montagna”. «È stata una tipica legge all’italiana, fatta in fretta e furia perché Bruxelles ci imponeva di proteggere il 15% del territorio. Ma si sapeva che i fondi a disposizione sarebbero stati insufficienti. Non meravigliamoci dunque dei parchi di carta». «Ci sono parchi che non hanno personale, risorse, strutture», conferma Arturo Osio del Wwf. «La legge ha fatto sorgere dei comitati provvisori di gestione, delineando il perimetro delle aree protette, e basta. Io stesso ho assistito all’apertura delle buste per un concorso all’interno di un parco, e c’erano il presidente e il segretario comunale che si guardavano senza sapere cosa fare». Largo agli ambientalisti I parchi, poi, spesso si scontrano anche con la popolazione, che in regioni come la Sardegna (dove il parco del Gennargentu resta un fantasma) vede come un esproprio il fatto che lo Stato incameri del territorio . «Lo Stato deve usare il buon senso, non la forza», osserva Agostino Da Polenza, famoso alpinista e ora responsabile organizzativo dei progetti scientifici del Cnr in Himalaya. «Altrimenti rischia che il parco muoia ancor prima di nascere a causa dell’incuria della gente. E non solo al sud: in Lombardia il parco delle Orobie ha fatto questa fine. Invece va spiegato che il parco è una risorsa naturale e una ricchezza turistica». Ma in questo quadro sconfortante quale ruolo resta per le associazioni ambientalistiche, che pure oggi contano molti rappresentanti nei consigli di amministrazione delle aree protette? Se la burocrazia paralizza i parchi, trasformandoli in orti botanici recintati, le associazioni potrebbero renderli luoghi aperti e vivi. «Mancano le risorse», precisa Osio. «Il Wwf avrebbe personale da distaccare presso i parchi, ma non lo possiamo pagare. Mentre l’Ente parco, sebbene in crisi di organico, ha le mani legate perché dipende dai finanziamenti statali. Servirebbero procedure più snelle e più autonomia». «La presenza delle associazioni nei consigli direttivi dei parchi è fondamentale», dice Susanna D’Antoni di Legambiente, «ma ancor più lo è la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, unico strumento per farli sopravvivere». Gli ambientalisti svolgono anche una funzione di stimolo e pressione sugli enti pubblici, spesso troppo occupati a distinguere compiti e competenze. «Tra ritardi, contestazioni e dissidi tra Corpo Forestale, che dipende dal ministero delle Risorse Agricole, e Consorzio del parco che dipende da quello dell’Ambiente, quel che manca sono proprio le iniziative», denuncia Dario Benetti, presidente dell’associazione Umana Dimora e membro del consiglio direttivo del parco dello Stelvio. «Spesso ci facciamo carico noi della gestione territoriale ed edilizia». Che il futuro dei parchi nazionali sia legato a doppio filo alle associazioni è anche l’opinione del senatore pidiessino Antonio Conte, membro della commissione Ambiente del Senato, all’interno della quale è stata avviata un’indagine conoscitiva sullo stato dei parchi. «Le associazioni di volontariato, nazionali e locali, potrebbero avere un ruolo fondamentale nelle aree protette, specie se riconosciute dagli enti locali. Un Comune, ad esempio, che ritenesse valide le iniziative di un’organizzazione, potrebbe proporle alla direzione del parco, facendole approvare. Percorsi che con la legge Bassanini diventano più facili e non richiedono capovolgimenti normativi. Questi interventi, poi, sarebbero molto utili per prevenire le calamità naturali».

ha collaborato Chiara Todesco

È l?Abruzzo la regione più verde Percentuale di territorio regionale protetto Piemonte: 6,9 Valle d?Aosta: 12,8 Lombardia: 21,2 Trentino Alto Adige: 20,0 Veneto: 4,2 Friuli Venezia Giulia: 5,8 Liguria: 11,5 Emilia Romagna: 5,6 Toscana: 5,6 Umbria: 2,1 Marche: 7,7 Lazio: 7,2 Abruzzo: 31,4 Molise: 1,3 Campania: 17,4 Puglia: 6,3 Basilicata: 9,3 Calabria: 12,9 Sicilia: 7,8 Sardegna: 0,6

Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA