Medio Oriente

Carly Rosenthal, attivista israeliana: «La violenza non porterà a nessun popolo né sicurezza né libertà»

Carly Rosenthal fa parte dell’organizzazione pacifista nonviolenta Combatants for Peace, fondata da ex militari israeliani ed ex militanti palestinesi. Un movimento che chiede la fine dell’occupazione illegale israeliana e promuove la pace. «I nostri leader cercheranno di convincerci che la violenza sia giustificata. Che bombardare il nemico possa portare sicurezza o libertà al nostro popolo. Sappiamo che non è vero», dice. E sul massacro a Gaza: «È ingiustificabile. E non accettiamo la narrazione del "noi contro loro"»

di Anna Spena

Nella notte di giovedì, Israele ha sferrato un intenso bombardamento, proseguito per l’intera giornata di venerdì, contro diversi siti legati ai programmi nucleari e missilistici iraniani. Gli attacchi hanno causato la morte di leader militari iraniani, ma soprattutto di numerosi civili. L’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite ha riferito di 78 vittime e oltre 320 feriti. Venerdì sera, l’Iran ha risposto con il lancio di missili balistici contro città israeliane, colpendo anche Tel Aviv e Gerusalemme, causando tre vittime e diversi feriti. Il ministro della difesa israeliano, Katz, ha definito l’operazione “Rising Lion” un “attacco preventivo” per impedire all’Iran di dotarsi di un arsenale atomico. A seguito di questi eventi, i negoziati in corso tra Iran e Stati Uniti per un accordo sul nucleare sono – di fatto – falliti. Ma qual è la direzione che si sta prendendo? 

Abbiamo raggiunto al telefono Carly Rosenthal, la portavoce e la responsabile della raccolta fondi dell’organizzazione pacifista nonviolenta Combatants for Peace, un movimento fondato nel 2006, dopo la seconda Intifada, da ex militari israeliani ed ex militanti palestinesi. Un movimento che chiede la fine dell’occupazione illegale israeliana e promuove la pace. «I nostri leader cercheranno di convincerci che la violenza sia giustificata. Che bombardare il nemico possa portare sicurezza o libertà al nostro popolo. Sappiamo che non è vero e desideriamo ardentemente che arrivi il giorno in cui non sia più “noi contro loro” ma “noi e loro” insieme, lottando per la pace, la libertà e l’uguaglianza per tutti. Sappiamo che questo è possibile grazie alla nostra esperienza nel nostro movimento di attivisti nonviolenti palestinesi e israeliani e alla nostra speciale coalizione con gli attivisti per la pace iraniani».

Netanyahu ha aperto un altro fronte di guerra.

Vogliamo vivere. Non vogliamo più missili. Non vogliamo più uccisioni. Combatants for Peace è un movimento nonviolento, fondato nel febbraio 2006 da ex combattenti israeliani e palestinesi. Uno dei nostri valori fondamentali è la resistenza nonviolenta, la co-resistenza. Abbiamo visto più e più volte che la violenza non porta né sicurezza né libertà. Continua e alimenta solo il suo ciclo. Per questo vediamo un’altra via possibile attraverso la co-resistenza nonviolenta, sia a livello sociale che personale. 

Non abbiamo più parole per quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza. Come movimento avete preso parte alle marce verso i valichi chiusi per chiedere un cessate il fuoco e l’ingresso degli aiuti. Qual è il ruolo della società civile israeliana per fermare questo massacro?

Sì abbiamo marciato. Abbiamo chiesto la fine di tutto questo per un futuro giusto per entrambi i popoli. Siamo contro il massacro a Gaza e chiediamo uno scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi. Non abbiamo solo marciato verso i valichi per far sentire il nostro dissenso. Abbiamo organizzato manifestazioni nei campus universitari per coinvolgere più israeliani, mostrando loro le foto dei bambini di Gaza uccisi. E poi ci sono le manifestazioni di massa settimanali a Tel Aviv e anche a Gerusalemme, per chiedere che siano liberati gli ostaggi e dare voce alle persone di Gaza che sono state uccise e che stanno soffrendo. Lo facciamo mostrando le foto delle vittime e dicendo: “Non in nostro nome. Non ci crediamo. Non pensiamo sia giustificato”. Crediamo che quella della pace sia l’unica via da seguire. È l’unico modo per portare veramente sicurezza, libertà e uguaglianza ai nostri popoli qui. Non accettiamo la narrazione del “noi contro loro”. Lo vediamo dalle nostre attività quotidiane. Facciamo così tanto insieme, e il nostro movimento sta crescendo nonostante la situazione orribile. Sempre più giovani si stanno unendo alla co-resistenza nonviolenta contro l’occupazione illegale e lottando per la pace. Questa comunità che stiamo costruendo mi dà speranza.

Secondo la tua opinione, in quanti nel Paese condividono le scelte del governo?

Credo che la maggioranza della società israeliana veda Netanyahu come un leader mosso dal proprio interesse, che fa tutto il possibile per evitare il carcere e combattere le accuse di corruzione. Vuole solo prolungare la guerra e la violenza. Quindi, come movimento, lavoriamo contro questo governo di estrema destra, incluso Netanyahu. È difficile prevedere a cosa porterà tutto questo. Ma penso che la maggior parte della società israeliana sia motivata a riportare a casa gli ostaggi e a proteggere il popolo di Israele. E noi diciamo, ovviamente, di Israele e Palestina.

Cosa può o dovrebbe fare la comunità internazionale?

Penso che una delle cose più importanti sia sostenere movimenti come il nostro e altri sul campo, quelli di israeliani e palestinesi, per portare attenzione al lavoro che viene fatto contro i nostri governi e i nostri leader. Un lavoro che sostiene la pace, l’uguaglianza e la giustizia per tutte le persone in queste terre. Ovviamente è importante sostenere in ogni modo possibile, sia sensibilizzando, sia donando per aiutare a continuare il nostro lavoro. C’è una legge in discussione alla Knesset che il governo israeliano sta cercando di approvare, per imporre una tassa dell’80% su tutti i finanziamenti esteri provenienti da istituzioni governative. Questo avrà un impatto significativo su tutti i gruppi per i diritti umani, inclusi quelli israeliani, che stanno facendo un buon lavoro. 

Cosa ti aspetti adesso?

È una domanda difficile. Non posso dire onestamente di essere ottimista, ma dico che ho speranza. Una speranza che nasce, come ho detto prima, dalla nostra comunità, da tutti i movimenti qui sul campo. Esperienze di questo tipo ci servono per crescere, sia qui che all’estero, e per cambiare le narrazioni. Sia dal basso verso l’alto, dalle persone e da come ci organizziamo, come ci vediamo e come lavoriamo insieme, sia dall’alto verso il basso, dai nostri leader e dalla pressione pubblica internazionale e dalle campagne di sensibilizzazione. Qualcosa deve cambiare, perché le cose stanno solo peggiorando.

La soluzione a due stati è ancora possibile o no?

Come movimento supportiamo qualsiasi soluzione che porti pace, giustizia e uguaglianza a israeliani, palestinesi e a tutte le persone che vivono qui, che sia uno stato, due stati… qualsiasi cosa che ci permetta di vedere quella visione realizzata. E, sfortunatamente, siamo molto lontani da qualsiasi tipo di soluzione che sembri possibile. Per lunedì stiamo organizzando, o meglio, avremmo dovuto organizzare un’azione congiunta chiamata “Digiuno per la Libertà”. Un digiuno globale che coinvolge israeliani, palestinesi e sostenitori internazionali all’estero, che digiunano per il popolo di Gaza e contro la fame forzata che gli è stata imposta. Ma ora tutta la Cisgiordania è sotto lockdown da parte dell’esercito israeliano, quindi le persone non possono muoversi. E dopo gli attacchi dall’Iran ci viene chiesto di rimanere vicino a un rifugio. Vedremo cosa succederà. 

Skyline di Tel Aviv/.AP Photo/Leo Correa/Associated Press/LaPresse

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