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L’azzardo del Dipartimento Politiche antidroga: numeri vecchi non fanno buon brodo

Presentata la Relazione 2015 del Dipartimento delle Politiche antidroga. Sull'azzardo, una misera appendice di poche pagine, curata dal Ministero della Salute, ricicla dati del 2008 e del 2012. Peccato che di acqua ne sia passata sotto i ponti. Chi ha paura di fotografare qui e ora il fenomeno?

di Marco Dotti

Nessuno sa come evolverà la situazione delle dipendenze negli anni a venire e nessuno, oggi, può davvero sapere quale sarà l'impatto sulle generazioni attualmente in età scolare di un fenomeno come l'azzardo legale di massa. Nessuno lo sa, ma ciò che tutti sanno – e talvolta omettono di dire – è che stiamo preparando il deserto. O il disastro, il che è lo stesso. Mancano studi attendibili sul problema? Facciamoli. Invece…

Numeri vecchi non fanno buon brodo

Il mercato della domanda di droghe è in crescita, ce lo dice il Dipartimento delle Politiche antidroga. Per capire l'offerta, basta andare per strada. Lo stesso si può dire per l'azzardo di massa, legale e illegale (più legale che legale, in verità), che lo stesso Dipartimento non omette di inserire e studiare nella sua Relazione annuale per il 2015 presentata ieri al Parlamento.

Peccato lo faccia con numeri vecchi e in una misera appendice di poche pagine, buttate a margine di un lavoro che avrebbe meritato ben altra cura e ben altra attenzione. O, al massimo, un circostanziato silenzio, in attesa di quegli studi scientificamente attendibili che nelle poche pagine della Relazione non ci si stanca di invocare.

I dati della dipendenza da azzardo

Il Dipartimento delle Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio – struttura che, ricordiamolo, è di supporto per la promozione e il coordinamento dell'azione di Governo in questa materia – ha presentato così la sua relazione. E nella relazione, forse presi dalla fretta, buttati in un angolino ci sono anche dati sull'azzardo che negli scorsi anni, comunque, facevano ben altra mostra di sé.

La dimensione del fenomeno, si legge nella Relazione, "è difficilmente stimabile in quanto, ad oggi, non esistono studi accreditati, esaustivi e validamente rappresentativi del fenomeno".

In ogni caso, secondo gli analisti del Dipartimento, i dati epidemiologici disponibili in Italia non si discosterebbero troppo da quelli interazionali. Che bisogno c'è, allora, vista l'impressionistica affermazione degli esperti, di fare una nuova e stavolta approfondita ricerca? Forse è questo che si vuole: non farla mai, una vera e rigorosa e quindi contestabile, criticabile e verificabile ricerca? Il dubbio resta, in un angolino. Come i dati del DPA, d'altronde.


Allora, visto che tutto vale tutto e l'Italia è solo un'appendice dell'Europa e nelle dipendenze l'azzardo è solo l'appendice di non si sa bene cosa, nella Relazione che cosa fanno gli esperti? Si rivolgono, per questi dati, a una fonte esterna: il Rapporto Eurispes 2009. Parliamo, quindi, di dati fotografati al 2009 e relativi al 2008 (sic).

Beninteso, a noi che contrastiamo l'azzardo quei dati andrebbero anche bene. Solo che non sono dati utili, in sede scientifica e, soprattutto, decisionale (ricordiamo che in Italia il "gioco" è dato in concessione e sono in scadenza tre concessioni: lotto, bingo e scommesse, e queste concessioni prevedono la stesura di nuovi bandi. Come si deciderà cosa mettere o non mettere nel bando? Usando dati vecchi? Chissà).

In ogni caso, esiste anche un problema tecnico: i dati usati dalla Relazione 2015 del DPA si basano almeno in parte su vecchie classificazioni psichiatriche, già criticabili allora, ma ancor più contestate oggi che al DSM (il Manuale Diagnostico Psichiatrico, l'equivalente della Bibbia per chi fa diagnosi) IV, nel 2012 si è sostituita una nuova edizione dello stesso Manuale, molto diversa nei criteri di classificazione delle azzardopatie. Dettagli tecnici non di poco conto, ma lasciamoli state.

Veniamo al paradosso di una relazione presentata l'8 settembre 2015 – data profetica? – che riprende dati del 2008…

Secondo la Relazione 2015 del Dipartimento, nel 2008 (anche se siamo nel 2015, ma il tempo pare una variabile di poco conto, chissà poi perché) l'azzardo coinvolge il 70% della popolazione adulta, mentre il 54% degli italiani ha buttato soldi e speranze in questa truffa legalizzata almeno 1 volta.

Per quanto riguarda la stima sulla categoria dei giocatori problematici (intesi come "coloro che giocano frequentemente investendo anche discrete somme di denaro ma che non hanno ancora sviluppato una vera e propria dipendenza patologica pur essendo a forte rischio evolutivo") varia secondo questa ricerca dall’1,3% al 3,8% della popolazione, che significa in termini assoluti 767mila a 2milioni 296mila adulti.

Il giocatori patologici (cioè con una vera e propria malattia che si manifesta con una dipendenza patologica incontrollabile) sarebbero compresi tra lo 0,5% e 2,2%, ossia fra 302mila a 1 milione 329mila.

Più sei malato, più giochi.

Un dato comunque e positivamente evidenziato nella Relazione – dato che permette di capire anche perché la pubblicità dell'azzardo, come componente di rinforzo della patologia, sia un elemento non solo scatenante, ma incatenante per il giocatore e vada quindi vietata senza se e senza ma.

La Relazione riprende un dato e lo offre come evidenza, ricordando che sugli oltre 84,5 miliardi di euro di fatturato dell'industria dell'azzardo di massa

"il 60% degli introiti totali da gioco (almeno per quanto riguarda le slot machine) sarebbero alimentati proprio da questa quota minoritaria di giocatori patologici più vulnerabili".

Non è per questa la ragione che dovrebbe indurre a ricerche serie e rigorose e, soprattutto, attualizzate su questo problema?

Il gioco dei minorenni

Nella popolazione studentesca (15-19 anni), le rilevazioni non sono del 2008/9, ma paiono comunque obsolete, riferendosi a una ricerca dello stesso Dipartimento relativa al 2012-2013

Secondo questi dati – risalenti, ribadiamolo a una indagine conoscitiva (student population survey) condotta negli anni 2012-2013 dal DPA sulla popolazione studentesca tra i 15 e i 19 anni, ma ripresentati nella Relazione del 2015 – "la pratica del gioco d’azzardo riguarda il 49,4% degli intervistati".

La preoccupazione associata a questi dati sembra però orientata soprattutto a una preoccupazione diversa, rispetto a quella del fenomeno.azzardo: l'associazione nella "frequenza della pratica del gioco d’azzardo e consumo di sostanze che evidenzia una correlazione lineare tra le due condizioni sia nella popolazione giovanile (15-19 anni) sia in quella generale (15-64 anni)". In altri termini, il policonsumo. Tema vero, ma rischioso se si comparano dati e campioni non omogenei.

Troppo generica, infine, e al limite della beffa l'affermazione che chiude l'appendice – ma né chiude, né apre, semplicemente banalizza il problema – dedicata al rapporto tra azzardo e nuove tecnologie:

"Il problema esiste ed è andato crescendo in questi ultimi anni anche a causa della sempre maggiore diffusione delle opportunità di gioco tramite internet e le nuove applicazioni degli smart-phone".

Il che equivale a dire tutto e nulla e a non innalzare di un briciolo la soglia di attenzione e di critica. Peggio: equivale a non porselo proprio, il problema…


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