Welfare

Le celle vuote di San Marino

Il modello carcerario ideale. Così vanno le cose nella piccola repubblica

di Redazione

Alle Seychelles fino alle sei del pomeriggio dei giorni feriali non c?è nessuno. L?unico ?residente? infatti torna a casa dopo il lavoro e ci rimane in pianta stabile solo nel week end. A queste latitudini, insomma, non si soffre di sovraffollamento. Ma per una volta non è una questione di spazio vitale da spiaggia. Anche se il mare è lontano solo poche decine di chilometri: Seychelles non indica infatti un atollo vacanziero, ma il carcere più vuoto del mondo. Quello di San Marino (per conferme leggere la classifica redatta lo scorso maggio dal Centro internazionale per gli studi sulle prigioni del King?s College di Londra). Il penitenziario sui registri ufficiali prende il nome di Carcere dei Cappuccini (era un ex convento), ma quassù tutti lo conoscono appunto come Seychelles, storpiatura gergale da ?sei celle?. «In effetti», interviene Ivan Foschi, segretario di Stato per la Giustizia (parigrado del nostro Guardasigilli) in quota a Rifondazione comunista, «sulla carta i posti disponibili sono 12 ma facciamo fatica a riempirli».

Oggi c?è una sola persona, condannata a 3 anni e 8 mesi per reati sessuali, ma da tempo ammessa al lavoro esterno (altre 24 persone sono invece in misura alternativa). «Da noi praticamente tutti i detenuti negli ultimi tre anni di pena hanno accesso alle pene alternative», spiega Rita Morganti, responsabile del Servizio sociale adulti in esecuzione di pena. A dare il semaforo verde alla semilibertà, all?affidamento ai servizi sociali o agli arresti domiciliari è il Consiglio di aiuto sociale. Un compito ben assolto, considerato il tasso di recidiva pari a zero relativo agli ultimi tre anni. «Fortunatamente non ho difficoltà a trovare alloggio e occupazione a chi è arrivato a fine pena», conclude la referente del Servizio sociale, «ma questo avviene solo per i sanmarinesi, quando l?ex detenuto è straniero qualche resistenza in più c?è». Il sistema però funziona. E bene. Certo i numeri lillipuziani aiutano non poco. Fra il 2005 e il 2007 le presenze in carcere in totale sono state 8. A cui vanno aggiunti 24 ristretti in attesa di una sentenza definitiva. Per loro però la permanenza dietro le sbarre non ha mai superato i 14 giorni. Altri dettagli: il servizio mensa è affidato a un ristorante del centro storico («un catering interno sarebbe antieconomico», osserva Foschi), le celle durante il giorno rimangono aperte per consentire le attività dei detenuti (modello Bollate, per intenderci), il tutto per un costo complessivo del sistema penitenziario di 50mila euro l?anno. Il comandante colonnello Achille Zecchini spiega: «Attualmente in servizio abbiamo però solo otto persone, vista la situazione di più non ne servirebbero».

Eppure qualche neo il segretario di Stato Foschi lo trova: «Molti dei reati commessi sul nostro territorio non vengono perseguiti, essendo commessi da stranieri che poi riparano in Italia». Risultato: i tribunali sanmarinesi lavorano a vuoto portando a casa troppe condanne in contumacia. In mancanza di un reato di estradizione a rovescio (la giustizia sanmarinese non può richiedere la consegna di un condannato italiano riparato in patria) non rimane che «incentivare il ricorso ai reati per direttissima e la flagranza di reato», conclude Foschi. Insomma anche San Marino ha il suo piccolo allarme sicurezza.

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