Famiglia
Le nascite calano del 7% in un solo anno e l’Italia fa finta di niente
Sono 166mila i bambini nati nel primo semestre del 2025: ben il 7% in meno rispetto allo stesso periodo di un anno prima. Questo crollo senza precedenti scuoterà finalmente la politica? Il demografo Rosina: «Nessuno ha la bacchetta magica, ma gli altri vanno avanti e noi restiamo fermi. L’Italia non solo non sperimenta nulla di nuovo, ma resta indietro su quel che altri Paesi stanno facendo. Il messaggio che deve arrivare dal sistema-Paese deve essere chiaro: “Tutto ciò di cui voi giovani avete bisogno è la nostra priorità”»

Meno 7%: di tanto sono scese le nascite in Italia nel primo semestre del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024. Un calo pesantissimo e pure inedito. Perché è vero che anno dopo anno ci siamo assuefatti a vedere le nascite calare, ma la pendenza della discesa stava nell’ordine del -1%, -1,5%, -2%. Un -7% in soli dodici mesi non si era mai visto. Sono 12mila bambini in meno che mancano all’appello in un solo semestre, confrontando le nascite tra gennaio e giugno del 2025 con quelle dello stesso periodo del 2024. I dati sono stati pubblicati dall’Istat, nel Bilancio demografico mensile.
«Le nascite nel primo semestre ammontano a 166mila unità ed evidenziando un ulteriore calo della natalità (-7,0% rispetto agli stessi mesi del 2024)», si legge. Basta andare sul sito e interrogare le annualità precedenti per vedere il trend: nel primi sei mesi degli anni precedenti, i nuovi nati erano stati 178.555 nel 2024, 180.448 nel 2023, 183.255 nel 2022 e 187.859 nel 2021. In quattro anni abbiamo perso 20mila neonati, di cui 12mila solo nell’ultimo anno.
Alessandro Rosina è professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano. Un giorno sì e l’altro pure ormai viene chiamato a commentare i dati dell’inverno demografico e i dati dicono sempre la stessa cosa: va sempre peggio.
Un -7% però non si era mai visto, professore: cosa dire davanti a questo crollo?
Quello che a me preme di più è il fatto che il dato delle nascite sia ancora una volta negativo, mentre dovrebbe tornare ad essere positivo. Si sta diffondendo un atteggiamento di rassegnazione, per cui di fatto non ci aspettiamo altro che le nascite calino di anno in anno e che ogni volta “battiamo un record” negativo: una corsa a stupirci di quanto il dato sia peggiorato. Ma non possiamo rassegnarci a pensare che questa discesa sia inevitabile e che non ci possa essere una inversione di tendenza.
Il messaggio che deve arrivare dal sistema-Paese deve essere chiaro: “Tutto ciò di cui voi giovani avete bisogno è la nostra priorità”
Siamo già il Paese con la più bassa fecondità d’Europa e veniamo da un periodo di calo della natalità così lungo che il numero di nascite non dipende solo dai figli che una donna ha ma anche dal fatto che le persone in età riproduttiva sono già calate tantissimo. L’inversione è ancora possibile?
Certo che è possibile. Abbiamo già superato il punto di non ritorno sulla popolazione, che non cresce più. Ma possiamo ancora sperare di non superare il punto di non ritorno sulle nascite. Per farlo dobbiamo partire da quello di cui i giovani hanno bisogno, innanzitutto per sé e per i propri progetti professionali, di vita, di famiglia. È chiaro che una generazione che è in difficoltà, a cui manca già ciò di cui ha bisogno per sé ha più difficoltà a pensare di mettere al mondo un figlio. Solo così si può incidere e ridurre il divario tra il numero di figli desiderati e il numero di figli che effettivamente vengono messi al mondo. I giovani sono in difficoltà in tutto il mondo, perché hanno dinanzi un futuro insicuro e incerto, perché viviamo in un momento di permacrisi, per le guerre, la crisi climatica, il debito pubblico… ma in Italia tutto questo si combina con il fatto che i giovani restano bloccati troppo a lungo nelle loro famiglie di origine, per il lavoro precario, i salari bassi, le politiche di conciliazione deboli, il dover scegliere – soprattutto per le donne – fra figli e lavoro. C’è un divario oggettivo tra la condizione dei giovani in Italia e negli altri Paesi.

Cosa fare?
Bisogna costruire il Paese su un pilastro preciso: rafforzare la condizione dei giovani. La loro formazione, il loro ingresso nel mondo del lavoro, la loro valorizzazione nel mondo del lavoro. Il messaggio che deve arrivare dal sistema-Paese deve essere uno e chiaro: “Tutto ciò di cui voi giovani avete bisogno è la nostra priorità e lo miglioreremo anno dopo anno”. Finché non saremo credibili su questo, i progetti di vita dei giovani resteranno sospesi e con essi pure la scelta di avere un figlio.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma gli altri Paesi vanno avanti, noi restiamo fermi. L’Italia non solo non sperimenta nulla di nuovo, ma resta indietro su quel che altri Paesi stanno facendo
Dinanzi alla consapevolezza – ormai diffusa – della gravità della denatalità e delle sue conseguenze per la tenuta del welfare, dei sistemi pensionistici, della possibilità di avere lavoratori e quindi di crescita… vediamo tanti altri Paesi prendere delle iniziative. Giuste o sbagliate che siano, altrove “qualcosa si muove”. Da noi invece? Come ripete sempre Gigi De Palo, il tempo dell’analisi è finito da un pezzo…
Gli altri Paesi vanno avanti, noi restiamo fermi. Nessuno ha la bacchetta magica, è chiaro. Ed è chiaro pure che gli interventi costano, ma non farli è un costo ancora maggiore per gli squilibri che si creano. La Francia sta investendo molto su immigrazione, diritti di genere e congedi. La Germania sta investendo per rafforzare la formazione e attrarre giovani: il tasso di Neet lì è tra i più bassi d’Europa. La Svezia sta sperimentando politiche attrattive, di parità e di genere. L’Italia non solo non sperimenta nulla di nuovo, ma resta indietro su quel che altri Paesi stanno facendo. Dobbiamo fare uno sforzo per convergere verso il meglio che in Europa si è sperimentato in termini di politiche di conciliazione, ingresso mondo lavoro, transizione scuola-lavoro, politiche abitative, previdenza.
Avere un figlio non deve impoverire e non deve obbligare a rinunciare alla carriera. I lavoratori padri e madri devono essere messi nelle condizioni di passare del tempo di qualità con i figli. Finché queste tre condizioni non si verificano, la scelta di avere un figlio rischia di essere troppo costosa
Una nuova ricerca di Claudia Goldin, che nel 2023 ha ricevuto il Premio Nobel per l’economia «per aver accresciuto le conoscenze sui risultati della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro», dice che i Paesi in cui gli uomini svolgono più lavori domestici e si occupano maggiormente dei figli hanno tassi di fertilità più elevati. Quando conta, secondo lei?
È un tema importante, e noi siamo ancora ai congedi di paternità di dieci giorni. Avere un figlio non deve impoverire (e invece in Italia è fra le prime cause di impoverimento); non deve obbligare a rinunciare alla carriera e al lavoro (e invece per le donne in Italia questo è quello accade ancora troppo spesso accade); padri e madri devono avere la possibilità di passare del tempo di qualità con loro.. altrimenti i figli perché li fai? Se non si verificano queste tre condizioni, la scelta di avere un figlio rischia di essere troppo costosa e quindi viene posticipata.
Scarica qui il numero di VITA “Perché non vogliamo figli?” e ascolta i nostri due podcast che danno voce alle ragioni dei ventenni e le reazioni degli esperti che se ne sono lasciati provocare.
Foto di Ignacio Campo su Unsplash
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