Welfare
L’europa taglia i viveriai banchi alimentari
emergenza cibo Salgono i prezzi e diminuiscono le eccedenze. Che fare?
di Redazione
Sono oltre 40 milioni gli europei che Eurostat definisce «a rischio di povertà». In altre parole, persone che non possono acquistare regolarmente cibo. Un esercito a favore del quale la Comunità ha creato – una ventina d’anni fa – un programma di sostegno basato sulla distribuzione delle eccedenze agricole anche per il tramite di realtà come i Banchi alimentari europei (nel 2006 ne hanno raccolte e distribuite circa 282mila tonnellate). Una goccia nel mare, dirà qualcuno, che però sfama ogni anno 4 milioni e 300mila indigenti. È sempre più concreto il rischio che questo rubinetto stia per asciugarsi.
Nel frattempo però i prezzi sono saliti alle stelle (due esempi: nell’ultimo anno, secondo la Fao, il riso è cresciuto del 172%, il grano del 113%) e questo ha ulteriormente ridotto gli aiuti. È diventata sempre più evidente l’urgenza di una riforma della politica agricola europea e si è fatta strada l’ipotesi di sostituire alla distribuzione diretta l’erogazione di voucher alimentari. Ipotesi che la Comunità ha voluto sottoporre ad una consultazione pubblica (con un questionario on line).
In effetti il 50% dei prodotti deriva dall’Unione europea (il resto dall’industria, il 23%, dalla grande distribuzione, 11%, dalle collette alimentari, 9%). Per cambiare modalità d’intervento servono inoltre tempi lunghi: «Quanti mesi sarebbero necessari per passare dalla distribuzione diretta ai voucher alimentari? Distribuire a 40 milioni di persone una tesserina magnetica sarebbe una soluzione burocratica e di difficile gestione. Questo non vuol dire che non si possano immaginare ulteriori strumenti, ma intanto occorre continuare con questo tipo di aiuti, tanto più in un momento di difficoltà economiche come l’attuale».
Dello stesso avviso Paolo Pezzana, responsabile Politiche sociali della Caritas: «Barak Obama racconta nei suoi discorsi elettorali di aver usufruito quando era bambino del food stamp, il voucher alimentare americano. Gli Stati Uniti però sono un’altra cosa. Questa ipotesi fa saltare la mediazione dei servizi e fa strada all’idea, tutta da dimostrare, che l’inclusione si faccia da sé».
Nella distribuzione degli aiuti alimentari, infatti, vi è una componente relazionale fortissima che è premessa fondamentale per l’inclusione. «Senza contare», sottolinea Lucchini, «che negli aiuti sono coinvolti i singoli, attraverso le collette, e le aziende che così danno concretezza alla loro responsabilità sociale».
Insomma l’alternativa è anche fra un meccanismo che coinvolge la collettività e una soluzione in apparenza più semplice che però lascia sole le persone indigenti.
L’importante è fare in fretta. Decidere una strategia e metterla in pratica. Sostenere il reddito dei produttori agricoli è buona cosa. Ma la programmazione comunitaria va probabilmente fatta tenendo conto, oltre che del mercato, delle esigenze di chi non ha risorse.
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