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L’exploit di Brandalise al Forum di Communitas
Il professore dell’università di Padova è intervenuto all'incontro dal titolo "Territorio tra retorica e realtà”
di Redazione

Forse, suggeriva il poeta Andrea Zanzotto, dovremmo tornare alla vecchia distinzione tra mappe e territori, interrogandoci su che cosa succede – nella coscienza politica e civile, nella cultura materiale, quanto nell’immaginario sociale – quando le une non corrispondono più agli altri.
Una mappa, osservava infatti Zanzotto, non è il territorio, ma quando le mappe non hanno più neppure una parziale aderenza alla realtà e letteralmente «se ne vanno per la loro strada», allora una società di spaesati può imboccare traumatici sentieri senza uscita, provocando quella inevitabile scollatura tra i bisogni e i desideri di chi un territorio lo vive e lo abita e chi quei bisogni e desideri dovrebbe “interpretarli” al meglio, offrendo risposte pertinenti e concrete. È nella scollatura tra mappa e territorio, tra i bisogni, i desideri e le risposte che essi richiedono che si provoca quel cortocircuito di risentimento, retorica e rancore che costituisce una fra le miscele più esplosive della tarda modernità.
Per tutto il Ventesimo secolo – ha osservato Aldo Bonomi, in apertura del primo Forum di Communitas (il mensile da lui diretto) svoltosi sabato 19 alla Triennale di Milano convocata intorno al tema Territorio tra retorica e realtà) – , una mappa in larga parte “attendibile” di lettura del territorio e di quanto vi accadeva in mezzo è stata quella “fordista”, che vedeva nella fabbrica tradizionale il luogo per eccellenza di ridefinizione e localizzazione di conflitti. Il cambiamento del modello produttivo, con una piccola imprenditoria diffusa e la nascita del cosiddetto postfordismo, non ha però prodotto in tempo reale nuove mappe utili per leggere il cambiamento. Oggi, anche il modello “postfordista” appare in declino a tutto vantaggio di qualcosa che, in un contesto globalizzato, non si sa neppure nominare se non nella forma negativa e un po’ generica della “crisi”: riaffiora così la vecchiacultura della “comunità maledetta”, rinserrata e sempre alla ricerca di un nemico, mentre il territorio “fluttua”, tra retorica e finti radicamenti politici, in assenza di mappe pertinenti e la situazione si di carica di venatura drammatiche e al tempo stesso grottesche. Come “leggere la crisi”, come “tracciarne” gli effetti, se la cartografia e gli strumenti di cui ci serviamo sono calibrati su una realtà mutata da anni e che solo oggi si lascia, parzialmente, interpretare?
Su questo tema, supportato dagli interventi di Stefano Boeri, Johnny Dotti e Marco Revelli, ha destato particolare interesse il discorso di Adone Brandalise, docente di Teoria della letteratura alla facoltà di Lettere dell’Università di Padova e direttore, nella stessa università, del Master in studi interculturali e della rivista “Trickster“.
Brandalise ha insistito sul tentativo di liquidare, a livello politico, il nodo della “complessità” e del “pluralismo”, anche linguistico che sorge quando l’incontro con l’altro è un fatto tangibile e concreto. Ci troviamo di fronte a forme di sparizione della complessità, anche linguistica, dei territori, a tutto vantaggio di una retorica del conflitto che in nome di tradizioni immaginarie e purezze presunte nega, però, ogni alternativa possibile al conflitto (l’altro è visto in sostanza come “il nemico che sradica”). Forse è questa la forma ultima e più radicale di devastazione del territorio: quella retoricamente condotta in “nome” del territorio stesso.
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