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Attivismo civico & Terzo settore

Libera riflessione sui redditi del ministro Severino

di Sergio Segio

Lenin definì lapidariamente ? come si conviene a un rivoluzionario ? gli avvocati «coscienze prese a noleggio». In tempi e luoghi più vicini a noi si è frequentemente discusso sulla liceità morale dell’assumere la difesa di imputati di delitti considerati spregevoli. Venticinque anni fa l’avvocato Jacques Verger, partigiano resistente e comunista, lacerò la Francia avendo accettato la difesa di Klaus Barbie, l’ufficiale nazista chiamato ? non senza motivo ? il «boia di Lione». Ancor più di recente, in Italia illustri opinionisti hanno criticato i difensori che accettavano il patrocinio di terroristi o mafiosi. Come se si potesse immaginare un processo dove fosse rappresentata solo l’accusa e un Paese dove la presunzione di colpevolezza diventasse la regola.
Ora la professione forense torna a fornire spunti di polemica per motivi, invece, più venali. Pietra dello scandalo i guadagni dell’avvocato Paola Severino, divenuta ministro della Giustizia: oltre 7 milioni di euro, il doppio del suo collega all’Economia, Corrado Passera, 70 volte quello del titolare della Cooperazione, Andrea Riccardi.
Senza demonizzare nessuno, quel che però colpisce sono le sproporzioni, prima ancora che l’entità, dei redditi dichiarati da ministri, politici e dirigenti della pubblica amministrazione: qui il primato lo detengono il capo della polizia e i vertici militari, il che in un Paese democratico dovrebbe forse essere considerato anomalo; tra i redditi più alti anche il capo delle carceri italiane, che guadagna il decuplo del suo omologo in Spagna. A fronte, Eurostat ha certificato che gli stipendi dei lavoratori italiani sono agli ultimi gradini in Europa: in media 23.406 euro lordi l’anno, la metà di quelli tedeschi, persino inferiori a quelli greci.
Ancora di più stride il paradosso tra i guadagni multimilionari del ministro e l’immagine quotidiana di un sistema giudiziario e carcerario letteralmente, e da tempo, allo sfascio. Quel sistema della giustizia ? che si applica severamente per lo più nei confronti delle marginalità sociali e che affolla all’inverosimile le celle del Paese ? è lo stesso che produce, sia pur per una minoranza degli avvocati, ricchezze impressionanti. I media non hanno registrato le opinioni dei reclusi circa quei redditi, ma non è difficile immaginarne taglio e tenore.
È arduo considerare giusta la giustizia italiana, ma essa è certamente lenta, avendo in assoluto il record (1.139) delle condanne ricevute dalla Corte europea dei diritti umani per la lentezza dei procedimenti giudiziari. E viene il sospetto che tale lentezza sia funzionale o comunque concausa dell’entità dei guadagni degli studi legali. Rallentare i processi, del resto, conviene anche gli assistiti: è stato calcolato che finiscono prescritti quasi 500 processi ogni giorno, nel 2011 lo sono stati 180mila. Un’amnistia non dichiarata, che beneficia però generalmente gli imputati più facoltosi. L’amnistia per i poveri cristi, invece, non la vuole nessuno. Sarebbe un rischio per la sicurezza, dicono i soliti opinionisti e l’intera classe politica, pochissimi esclusi. Ma il rischio più certo e consistente sarebbe invece per le parcelle degli avvocati.


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