Oltre le sbarre
Libere di stare bene. Anche in carcere
Il talk “Inclusione e prevenzione: strumenti e risorse per donne detenute”, promosso dalla Fondazione Human Age Institute di ManpowerGroup, è stato un'occasione per parlare del progetto "Libere di stare bene". Stefania Grea, segretaria generale: «Impegno su due assi portanti: educazione al lavoro e prevenzione oncologica dall'altro»
Il progetto “Libere di stare bene” ha visto Fondazione Human Age Institute insieme a Gomitolorosa e Fondazione Severino a supporto delle detenute della Casa circondariale di Rebibbia sezione femminile. Il webinar “Inclusione e Prevenzione: strumenti e risorse per donne detenute”, sul tema delle carceri femminili e sull’importanza della prevenzione e dell’inclusione lavorativa delle detenute, si inserisce nel progetto ed è stato l’occasione per ascoltare esperti del settore, condividere esperienze di progetti sul campo e scoprire strategie per promuovere un reinserimento sociale positivo.
«”Libere di stare bene“, concepito per offrire sostegno nella prevenzione del tumore al seno, solidarietà e supporto sulla cura del benessere alle detenute del carcere di Roma, per noi è un progetto davvero speciale. Avviato la scorsa primavera, si è concluso lo scorso ottobre, e ha coinvolto una trentina di detenute», dice Stefania Grea, segretaria generale Fondazione Human Age Institute di ManpowerGroup.
Educazione al lavoro e prevenzione oncologica
«Oggi il tema dell’inclusione lavorativa per le persone che sono in stato di detenzione, o ex detenute da poco, è un tema al centro dell’interesse del sistema Paese. Questo perché si è visto che le persone educate al lavoro, che escono e hanno un impiego, hanno una prospettiva di vita diversa. E soprattutto, la recidiva scende a livelli percentuali veramente molto bassi. Negli istituti penitenziari è importante educare al lavoro, portare il lavoro e impegnare le persone che sono in una situazione “ristretta” in attività che possono loro insegnare a lavorare insieme, verso un obiettivo comune», continua Grea. «È proprio questo che abbiamo realizzato in “Libere di stare bene”, realizzato insieme alla Fondazione Severino e a Gomitolorosa». Nel progetto, realizzato con il supporto di Ebitemp, si è lavorato su due assi portanti: l’educazione al lavoro da un lato, la prevenzione oncologica dall’altro.
L’esigenza di un quadro di riferimento omogeneo
«Le persone detenute hanno bisogno di una chance lavorativa e penso che un Paese civile debba offrire loro quest’opportunità», afferma Agostino Di Maio, membro del Cda di Ebitemp e direttore Assolavoro, che associa l’85% delle agenzie per il lavoro presenti sul territorio nazionale. «Sono attive tante iniziative per il lavoro nelle carceri, ma nascono nella solitudine più totale perché manca un quadro di riferimento omogeneo che consenta di portare a sistema queste attività, che le agenzie svolgono con Terzo settore, onlus, associazioni della società civile».
«Ci scontriamo spesso con la realtà degli istituti di pena», continua Di Maio, «con una forte burocrazia, con dei ritardi nelle autorizzazioni che sono oggettivamente poco compatibili con le dinamiche del mercato del lavoro, che sono molto veloci. Poi c’è un grande pregiudizio. Molte aziende fanno fatica ad accettare l’inclusione lavorativa di soggetti che vengono da percorsi di questo tipo. Occorrerebbe fare un investimento importante sul piano della comunicazione. Bisogna evidenziare quanto sia importante creare delle condizioni favorevoli per le persone detenute».
Uno strumento di elaborazione del proprio vissuto
«La nostra idea iniziale era quella di lavorare sulla formazione e l’inserimento lavorativo delle detenute», dice Eleonora Di Benedetto, avvocato e consigliera di Fondazione Severino. «Ma poiché le detenute spesso hanno molto tempo da trascorrere in questi istituti e sono rinchiuse in un ambiente poco gradevole e poco stimolante, abbiamo iniziato a fare laboratori in ambito artistico, culturale e sportivo. Ci siamo resi conto che queste attività rappresentavano qualcosa di più importante. Non solo si dà a queste persone un’occasione di evasione mentale, ma quando si fanno, ad esempio, il laboratorio di scrittura o quello teatrale, si offre molto spesso uno strumento di elaborazione del proprio vissuto», continua Di Benedetto. «Perché sono delle occasioni per incontrare qualcuno che viene dell’esterno, le stimola a confrontarsi con soggetti terzi rispetto alle esperienze che hanno fatto nella loro vita, sono un ponte con il fuori. Abbiamo anche iniziato ad incentivare attività di sensibilizzazione su problematiche legate al mondo della salute e, quindi, sull’importanza delle attività di prevenzione».
La lanaterapia per ridurre ansia e stress
Gomitolo Rosa è oggi presente in quasi 40 unità oncologiche italiane, «dove portiamo la lanaterapia riconoscendo al lavoro a maglia un potere terapeutico per ripristinare il benessere psicofisico delle pazienti, alle quali portiamo il nostro kit personale mentre praticano la terapia, dove mettiamo un uncinetto, della lana e uno schema per confezionare un piccolo manufatto che, unito insieme agli altri, forma delle coperte che doniamo per la solidarietà sociale», spiega Ivana Appolloni, direttrice generale di Gomitolorosa. Rimanere concentrati sui ferri, sugli uncinetti «aiuta a percepire di meno il dolore, riduce l’ansia e lo stress, aumenta l’autostima proprio perché prevede il raggiungimento di un fine. Il nostro modello l’abbiamo voluto portare alle donne detenute a Rebibbia. Questo progetto ha avuto per noi soprattutto l’obiettivo di portare benessere e solidarietà: abbiamo coinvolto i nostri volontari in tutta Italia nella realizzazione di una rosa, che abbiamo poi donato durante l’Ottobre rosa (il mese della prevenzione)», prosegue Appolloni. «Abbiamo voluto portare consapevolezza sull’importanza della prevenzione anche organizzando degli incontri con la dottoressa Giorgia Garganese».
Durante i laboratori di lanaterapia con le detenute di Rebibbia «ci siamo fatte un sacco di risate: chi sapeva lavorare all’uncinetto aiutava le altre, chi non sapeva lavorare combinava qualche macello. Ma era quella la cosa bella: la condivisione. Il nostro è stato un rapporto soprattutto emozionale», racconta Maria Grazia Devoti, volontaria di Gomitolorosa. «Non so quante signore avranno poi continuato a lavorare all’uncinetto, ma di certo abbiamo dimostrato loro un interesse dall’esterno, ci hanno accolto come se fossimo a casa loro, ci hanno offerto tanti caffè».
L’importanza della prevenzione delle detenute
«Sono rimasta impressionata dall’attenzione delle donne all’incontro che ho tenuto sulla prevenzione del tumore al seno», dice Giorgia Garganese, chirurgo senologo e membro del comitato scientifico Gomitolorosa. «Vorrei che ci ricordassimo che sono in condizioni di ristrettezza e di marginalizzazione anche per quanto riguarda l’accesso ai presidi di cura e ai presidi di prevenzione. Esiste per loro un accesso limitato alla possibilità di curarsi, o per lo meno di prevenire e fare diagnosi precoce così come invece è consentito alle donne che non sono in quella stessa condizione. Quest’esperienza mi è servita per capire che bisogna guardare a queste donne con un occhio differente. Bisogna focalizzarsi sul predisporre dei circuiti e dei percorsi che siano diversi da quelli che normalmente si pensano per le donne che sono libere di muoversi. Magari bisognerebbe portare nelle carceri delle unità mobili dotate di attrezzature specifiche per poter garantire alle donne una mammografia, un’ecografia e, quindi, la diagnosi precoce».
L’estensione degli sgravi contributivi in carcere
«La rieducazione è croce e delizia del lavoro dei detenuti: ha portato alcuni giudici a considerarlo diverso dal lavoro di ogni altra persona e quindi soggetto a una disciplina speciale. Oggi siamo di fronte a un nuovo scenario, quello di promozione della volontarietà del lavoro delle carceri», dice Ciro Cafiero, presidente Unindustria Lazio, sezione Consulenza e formazione. Sul piano del diritto «dobbiamo forse spingere sull’estensione degli sgravi contributivi previsti dalla legge Smuraglia, ancora limitata a una platea troppo ristretta di imprese. Il lavoro all’esterno delle carceri è decontribuito solo in favore delle cooperative sociali, non di tutte le imprese private che invece accedono a quel 95% degli sgravi della decontribuzione solo nel caso del lavoro all’interno delle carceri, sebbene questi sgravi continuino tra 18 e 24 mesi dalla fine del periodo di detenzione».
Nella foto di apertura, di Daniele Leone per LaPresse, pranzo di Natale nella sezione femminile del carcere di Rebibbia a Roma.
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