Non profit
L’imam torna a scuola
Islam italiano/1 Apre il primo corso di formazione per dirigenti di moschea
di Redazione

La prima campanella suonerà sabato 16 febbraio. Quando nella sede milanese di Agenfor 40 fra imam e dirigenti di moschea, in una mano il taccuino degli appunti e nell’altra il Corano, prenderanno posto dietro i banchi del primo corso italiano dedicato alla formazione dei leader comunità islamiche. Il format è quello della scuola nata all’interno della Grande moschea di Parigi. Obiettivo: «Aggiornare chi guida le preghiere e chi gestisce i centri culturali e le moschee su quali siano le strade per far convivere pacificamente la pratica della nostra religione con le leggi dello Stato», spiega Issam Mujahed, medico palestinese, vicepresidente della Comunità islamica di Brescia e ideatore della scuola di formazione. Il concetto è quello dell’islam elastico: «Perché non c’è scritto da nessuna parte che non si possa essere dei buoni musulmani anche in un Paese occidentale». Fra i docenti ci sarà anche un tecnico del ministero degli Interni. «Ma i partecipanti non otterranno alcun patentino, l’islam non ha bisogno di etichette che stabiliscano chi è moderato e chi è radicale, la nostra è una religione moderata per natura», chiarisce Mujahed.
Quali saranno dunque le materie portanti del corso? «Spiegheremo, per esempio, che non c’è incompatibilità fra la Costituzione italiana e la religione islamica. Oppure entreremo nel merito di leggi che ci interessano, come quella sulla libertà di culto e quella sull’immigrazione, infine seguiremo da vicino le attività della Consulta istituita dal governo».
Ad ospitare gli studenti di Allah sarà Agenfor, ente di formazione guidato dall’arabista Sergio Bianchi. Il progetto, che vale 80mila euro, è stato interamente finanziato in casa. «Ci siamo ben guardati da cercare sostegni esterni», conferma Bianchi, che con Mujahed collabora da tre anni. Prima in un progetto di cooperazione avviato ad Hebron, in Palestina. Poi con la firma di un protocollo d’intesa fra Agenfor e la moschea di Brescia sulla cura ospedaliera dei musulmani. Non si tratta comunque di un investimento a fondo perduto. Lo stesso Bianchi non nasconde di aspettarsi un feedback positivo a livello di immagine.
Un primo risultato lo ha già raccolto. L’Unione europea e la Spagna hanno infatti deciso di mettere sul piatto 30mila euro per esportare il modulo di formazione sull’altra sponda del Mediterraneo. Prima tappa: il Marocco. Dove a fare gli onori di casa sarà l’esperto di riformismo musulmano Chabar Said. «Questo non elimina», precisa Bianchi, «il valore sociale di un progetto che, vale la pena sottolinearlo, non è rivolto a rappresentati di sigle più o meno note, ma guarda al tessuto di base dell’islam italiano, costituito dalle 300 moschee presenti sul territorio». In aula però non ci saranno più di 40 dirigenti. Nessuna selezione all’ingresso: «Solo un problema di spazio. A lezione verranno i primi 40 iscritti», chiarisce Mujahed. «Tanto è vero», gli fa eco Bianchi. «che oltre all’Ucoii (a cui aderisce la moschea di Brescia, ndr), interverranno anche rappresentanti delle comunità wahabita e salafita».
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