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Russia

L’imperialismo di Mosca in 5 atti e mezzo

Quello del Donbass e Crimea è il quinto atto di un unico stesso dramma che dal 1991, anno della fine dell'Urss, va in scena nell'ex spazio sovietico. Abchazia, Ossezia del Sud, Transnistria, Nagorno-Karabakh. Tanti conflitti per un unico disegno ovvero riportare sotto l'ombrello russo i nuovi stati ricostituendo sotto mentite spoglie l'Unione sovietica. Una strategia di instabilità controllata congegnata dal Cremlino per impedire ai paesi vicini di esercitare la propria legittima sovranità.

di Paolo Bergamaschi

Putin sulla Piazza Rossa festeggia la vitoria alle elezioni e i dieci anni di annessione della Crimea

Non è affatto casuale che l’apoteosi elettorale di Vladimir Putin sia coincisa lunedì scorso con le celebrazioni sulla Piazza Rossa del decennale dell’annessione della Crimea alla Federazione Russa. Era il febbraio del 2014 quando i primi misteriosi “omini verdi” occupavano i centri nevralgici della penisola nel Mar Nero scacciando le legittime autorità ucraine con un colpo di mano pianificato a Mosca da tempo. Si è trattato solo del primo passo. Poche settimane dopo altri omini verdi, ovvero militari con divisa senza insegne, provocavano i primi scontri negli oblast di Luhansk e Donetsk dando inizio alla campagna bellica del Donbass. Lo scorso 24 febbraio i media italiani hanno commemorato i due anni dall’inizio della guerra di aggressione russa dell’Ucraina ma a Kiev, di rimbalzo, ci hanno ricordato che il conflitto è cominciato dieci anni fa anche se l’opinione pubblica del nostro paese, distante e svogliata, si occupava d’altro. Interessante il dossier pubblicato pochi giorni fa da Amnesty International che denuncia come sin dall’inizio dell’occupazione della Crimea, la Russia ha cercato di cambiare la conformazione etnica della penisola e di sopprimere le comunità ucraina e tatara

In fin dei conti, hanno pensato in tanti, cosa può importare all’Italia di vicende che accadono a tremila chilometri di distanza? Quando ce ne siamo accorti era ormai troppo tardi. Improvvisamente ci siamo trovati inondati di commentatori che dai teleschermi pontificavano, e tutt’ora pontificano, attribuendo a Ue, Usa e alla stessa Ucraina colpe e corresponsabilità nella genesi del conflitto. Sono gli stessi commentatori che giustificando o attenuando la posizione della Russia sorvolano o ignorano che quello del Donbass è il quinto atto di un unico stesso dramma che dal 1991, anno della fine dell’Urss, va in scena nell’ex spazio sovietico. Abchazia, Ossezia del Sud, Transnistria, Nagorno-Karabakh sono nomi di località sconosciute ai più dove negli anni novanta si sono consumati sanguinosi conflitti con caratteristische e dinamiche sovrapponibili a quelle del Donbass. Hanno coinvolto Georgia, Moldavia, Armenia e Azerbaigian, allora giovani repubbliche che avevano appena dichiarato l’indipendenza da Mosca. Nei primi due casi i separatisti erano armati direttamente dalla Russia; per quanto riguarda Armenia e Azerbaigian, invece, era Mosca che di fatto garantiva a Erevan il controllo di un pezzo di territorio azero rifornendo di armi entrambi i contendenti.

Tanti conflitti per un unico disegno ovvero riportare sotto l’ombrello russo i nuovi stati ricostituendo sotto mentite spoglie l’Unione sovietica. Una strategia di instabilità controllata congegnata dal Cremlino per impedire ai paesi vicini di esercitare la propria legittima sovranità. Con la guerra nel Donbass anche l’Ucraina si aggiunge all’elenco delle vittime dell’imperialismo russo. Delle sei ex repubbliche sovietiche sul suolo europeo, a parte gli stati baltici, manca all’appello solo la Bielorussia del dittatore Lukashenko che di fatto è stata “normalizzata” da Mosca dopo averla incorporata in uno “stato-unione” da utilizzare eventualmente come modello anche per altre acquisizioni. Abchazia, Ossezia del Sud, Transnistria e Donbass rappresentano per Georgia, Moldavia e Ucraina una sorta di “pizzo territoriale” da pagare alla cleptocrazia mafiosa al potere in Russia.

Ma l‘orgia di nazionalismo che celebrava sulla Piazza Rossa il ritorno della Crimea alla “casa madre russa” richiama la narrazione ad uso interno del Cremlino che sorregge l’invasione dell’Ucraina. La narrazione ad uso esterno, fatta propria da troppi in Italia, è di natura politica e ci racconta di un’Ucraina vittima di un colpo di stato americano che ha portato i nazisti al potere perpetrando il genocidio delle popolazione russofona. Quella ad uso interno è di natura storica e racconta che non esiste un’identità nazionale ucraina perchè russi e ucraini con i bielorussi, come ha scritto Putin nel luglio del 2021, sono un unico popolo e l’Ucraina non è che un’invenzione geografica, un incidente della storia.

Per completare il quadro è opportuno spostare l’attenzione su quello che succede in Armenia, tradizionale alleata della Russia. Dopo il disimpegno delle forze di Mosca in Nagorno Karabakh che avrebbero dovuto proteggere la comunità armena che, invece, ha dovuto, purtroppo, precipitosamente fuggire con l’arrivo dei soldati azeri  negli ultimi giorni il primo ministro Nikol Pashinyan ha congelato la partecipazione del suo paese all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, l’organismo militare che fa perno sulla Russia, contemplando la possibilità di presentare domanda di adesione all’Unione europea. Fra Erevan e Mosca si sta consumando uno strappo politico. Si preannuncia il sesto atto dello stesso dramma.                


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