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L’inferno di Gomorra

Film Realistica e convincente la pellicola di Garrone

di Redazione

Èun universo stravolto, quello messo in scena da Matteo Garrone. Un mondo che ha logiche sue e dinamiche peculiari. Le abbiamo viste anche altre volte. Mai probabilmente con questa impassibilità scientifica, con questa crudezza oggettiva che non commenta. Per molti aspetti una lezione di stile che si fa etica, questo film che ricorda, per come è costruito, le pellicole di Altman, e che per il resto è totalmente estraneo alla cinematografia “criminale”. La supera d’un colpo grazie all’impressionante realismo, a una forma – impasto di colori e movimento – che diviene sangue e carne. Fin dalla prima scena, che mostra la straordinaria banalità del male incarnata dai boss: si comportano esattamente come il “copione” impone loro. Convenzionali. Ordinari. Altro che eroi. Accettano passivamente i luoghi comuni e se ne fanno espressione fiera e in alcuni passaggi patetica. Cosa c’è di meno guerriero che farsi ammazzare quando si sono deposte le armi per farsi una lampada?
Non c’è il fascino del crimine in questa Gomorra. C’è la routine. Meccanismi di controllo del territorio estremamente oliati, ragionieristicamente messi a punto. Perché ogni metro espugnato (alla collettività, alle forze dell’ordine) significa qualche euro in più. Ma per governare questa Scampìa che è un alveare (a proposito: niente da rimproverarsi gli architetti di questi palazzoni?), servono soprattutto i soldati. Ed è su loro che si concentra soprattutto la cinepresa a spalle e assai mobile di Garrone (l’unico capo Toni Servillo, nei panni di un “industriale dei rifiuti”, apre una prospettiva laterale ma decisiva: la complicità degli imprenditori del Mord).
Al regista stanno però a cuore le vicende delle seconde file. Soldati di lungo corso come l’uomo che, paternamente, porta denaro alle famiglie di chi sta dentro. Soldati appena arruolati come il ragazzino che alterna il lavoro con la madre (porta a domicilio la spesa) a quello più remunerativo che fa per la camorra. E ancora: giovani che vorrebbero diventare boss senza fare la gavetta (e che pagheranno, naturalmente). Oppure fiancheggiatori come il sarto che governa una diciamo azienda (il business è l’alta moda taroccata) e fa lo sbaglio di collaborare con i potenziali concorrenti (i cinesi, anche qui)? Un mondo senza speranza, popolato da una umanità che vive solo al presente, fragile e impreparata. Come i ragazzi che sfidano il capo del quartiere. Adulti che maneggiano, infantilmente, delle pistole. Vittime di se stessi, oltre che del sistema criminale e delle troppe assenze assordanti.

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