Welfare

L’ingiusto processo dei detenuti stranieri

di Redazione

Stranieri e “ingiusto processo”
In carcere gli stranieri oggi costituiscono il 36,92 % della popolazione detenuta. Ma davvero il problema è che gli immigrati delinquono sempre di più, o la giustizia nei loro confronti è molto più dura? Il racconto che fa Kamel, detenuto tunisino, di come è andato il suo processo è istruttivo in proposito: «Al processo in tribunale ho avuto un interprete di nazionalità marocchina che facevo fatica a capire, così come lui non capiva bene me. Il processo durò tre giorni di dibattimento tra avvocati e pubblico ministero, e io mi sentivo come un pacco appoggiato in un angolo mentre altri litigavano sul mio destino. L’interprete cercava di spiegarmi, ma io capivo meno della metà delle cose che diceva. Quando il giudice mi chiese di parlare l’interprete non capiva bene il mio dialetto tunisino, e traduceva solo le parole che capiva e ignorava il resto. Alla fine del processo mi disse che ero stato condannato a 21 anni di reclusione. Non avevamo capito niente di quello che era stato detto e l’avvocato non aveva fatto nulla per separare le responsabilità».

Il virus del sovraffollamento
«Il sovraffollamento è il virus più pericoloso, altro che l’Aids o l’influenza A. Oltretutto il grande numero di reclusi determina l’insufficienza dei servizi di assistenza e vigilanza. Il personale non basta, è costretto a turni massacranti e a tener dietro a troppe persone. E questo si riflette anche nello stato d’animo di chi è davanti e dietro le sbarre. In tutti questi anni ho tenuto un quaderno per annotare quanti benefici di legge riuscivo a far avere ai reclusi a causa delle condizioni di salute. Ne ottenevo 50-60 ogni anno. Da qualche anno non riesco ad averne neppure la metà. Adesso, a novembre, sono a quota 23. Non è che le condizioni di vita dei detenuti siano migliori, tutt’altro. È che i magistrati di sorveglianza non solo hanno stretto i freni, ma si pongono in un atteggiamento di chiusura ideologica, frutto del clima politico, che fa di ogni persona scarcerata un motivo di insicurezza nazionale»: questa è la spietata descrizione delle galere attuali fatta da Francesco Ceraudo, che da 35 anni dirige il Centro clinico della Casa circondariale di Pisa.

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