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Lo spreco idrico in Italia è pari al 35% Ma un cittadino su tre rimane senza rifornimenti

di Antonio Sgobba

Per mantenere il ciclo dell’acqua ci vogliono investimenti per 64 miliardi di euro per i prossimi vent’anni. Come minimo. E non stiamo parlando solo di tubi». I conti li hanno fatto quelli di Federutility, la federazione che riunisce le aziende che in Italia gestiscono i servizi pubblici locali di energia elettrica, gas e acqua. «E se avessimo un approccio adeguato alla complessità della situazione italiana, la cifra sarebbe ancora più alta», dice il vicepresidente Mauro D’Ascenzi. Ma come funziona il ciclo dell’acqua nel nostro Paese? I problemi iniziano a monte. Già, perché le riserve di neve e di ghiaccio sono sempre meno. «Non possiamo fingere che non ci siano stati cambiamenti climatici e antropologici radicali. È cambiata la distribuzione dell’uomo sul territorio, mentre quest’inverno molte dighe e laghi artificiali che servono a nutrire gli acquedotti sono rimasti quasi a secco e si riduce sempre più la dimensione dei ghiacciai che invece d’estate rilasciano l’acqua», continua D’Ascenzi. Dobbiamo imparare che l’acqua va conservata quando c’è, ricordano da Federutility. Su questo punto in Italia non si sta facendo abbastanza: «È un punto drammatico e lo stiamo trascurando. Questa mancanza provocherà disastri e danni materiali ed economici. Ce ne accorgiamo quando ci troviamo di fronte a fenomeni, una volta controllabili, che non riusciamo più a governare, come le alluvioni».

Senza valore
Una volta affrontato il problema della razionalizzazione dell’approvigionamento, si può passare a una delle questioni più discusse: la rete idrica. Notoriamente malandata, quella italiana versa in uno stato di usura tale da provocare la perdita in media del 35% dell’acqua immessa nelle tubature, mentre il 30% della popolazione è sottoposta a un approvvigionamento discontinuo e insufficiente. «Dovrebbe essere una delle infrastrutture principali del Paese e invece la rete italiana è un colabrodo. Ne sprechiamo un terzo, come se l’acqua non valesse niente», afferma Antonio Gaudioso, vicesegretario di Cittadinanzattiva, associazione che anche quest’anno, proprio in occasione della Giornata mondiale dell’acqua, presenta la sua indagine sullo stato del servizio idrico integrato. «Per risolvere la situazione ci vorrebbe un piano straordinario di manutenzione, sono necessari decine di miliardi di investimenti. È uno degli asset su cui investire nei prossimi anni nel nostro Paese», aggiunge Gaudioso.
Eppure per gli esperti non è questo il problema centrale. «In realtà l’acqua persa dagli acquedotti non va perduta, viene rimessa in ciclo, va nell’ambiente e non lo inquina», precisa Stefano Ciafoni, vicepresidente di Legambiente. E dalle utility si spingono ancora oltre: «Se vogliamo dare l’acqua a tutti, certo, dobbiamo intervenire sugli impianti e tappare le falle dei tubi. È un dato che fa scalpore ma in realtà è il meno drammatico. L’acqua potabile bene o male arriva dappertutto. Se si parla solo di quello si fa demagogia». Da Cittadinanzattiva però ribattono: «Fatto sta che dalla nostra ultima indagine ad oggi la situazione non è cambiata. Gli sprechi continuano ad esserci e le tariffe ad aumentare. Dal 2000 ad oggi c’è stato un incremento del 64,4%», sottolinea Gaudioso.
Quella delle tariffe è una delle questioni principali in carico al nuovo organo competente: l’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Il governo Monti ha scelto di non creare un organismo ad hoc per l’acqua, così i compiti che una volta erano del Conviri, ente appartenente al ministero dell’Ambiente ? e che negli ultimi mesi del governo Berlusconi erano stati affidati a un Agenzia per l’Acqua creata poco tempo prima dei referendum e mai realmente partita ?. ora sono competenza dell’organo che già vigila sulle bollette di luce e riscaldamento. «Almeno non si è creato un altro ente inutile, aspettiamo di capire come si muoverà», dicono da Legambiente.

E i depuratori?
Ma tornando al ciclo dell’oro blu, per tutti il problema più urgente è quello delle acque reflue. Sul nostro Paese pendono circa ottocento iniziative della Comunità europea, procedure d’infrazione legate a irregolarità nella gestione degli scarichi e della depurazione. «Sono multe per i depuratori che non abbiamo», spiegano da Cittadinanzattiva. In Italia infatti ci sono zone in cui si depura una percentuale dei reflui pari a zero.
Ci sono città come Imperia, solo per fare un esempio, che non hanno neanche un depuratore. «Non si costruiscono perché si dice che non ci sono le risorse, ma è demenziale non usare soldi pubblici per costruire gli impianti. Soprattutto perché quei soldi dovremo spenderli per pagare le multe», osserva Ciafoni di Legambiente. «Per di più nelle città le acque piovane sono fatte impropriamente confluire nelle reti di fognatura», continua Ciafoni, «pressando inutilmente i depuratori in funzione. Andrebbero invece utilizzate per scopo irriguo cittadino o usi meno pregiati all’interno delle abitazioni, come per scaricare il water». Per i cittadini al danno si aggiunge poi la beffa della cosiddetta “tassa di depurazione”, un canone sulla gestione dei depuratori fatto pagare anche dove i depuratori non ci sono. Mentre le utility hanno un’ulteriore difficoltà: «Sappiamo che sono tra gli interventi più urgenti ma adesso ci troviamo a fronteggiare la diffidenza degli istituti di credito, per questo non riusciamo a fare investimenti indispensabili».


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