Giovani
Luca Gori: «Il ricambio generazionale nel Terzo settore? Passa dal mutamento di missione delle organizzazioni»
«I giovani sono spesso portatori di uno sguardo più libero da vincoli, più aperto al cambiamento e più predisposto alla collaborazione intersettoriale. Occorre dare loro riconoscimento e fiducia. E per farlo servono modelli organizzativi diversi», intervista al più giovane presidente di Fondazioni di origine bancaria e membro della giuria del “Premio Gen P - Giovani che partecipano” che mira a sostenere il ricambio generazionale nelle organizzazioni del Terzo settore
di Redazione

Luca Gori, pistoiese classe 1983, è presidente della Fondazione della sua città (Fondazione Caript). È stato allievo della Scuola superiore “Sant’Anna” di Pisa, dove ha conseguito il dottorato di ricerca. Attualmente insegna diritto pubblico nella stessa Scuola. È anche docente di Diritto del Terzo settore all’Università di Pisa. Inoltre, è responsabile scientifico delle attività del Centro di ricerca “Maria Eletta Martini” che si occupa di ricerca, formazione e divulgazione nell’ambito del Terzo settore e volontariato. Gori non solo è il più giovane fra i presidenti della Fondazioni di origine bancaria rriunite nell’Acri, ma è anche membro della giuria del “Premio Gen P – Giovani che partecipano” promosso proprio dall’Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio. Obiettivo: sostenere il ricambio generazionale nelle organizzazioni del Terzo settore.
Gen P valorizza il protagonismo giovanile nel Terzo settore. Perché questo è un tema importante per le Fondazioni, oggi?
Il protagonismo giovanile è fondamentale per il futuro del Terzo settore. Questa appare una affermazione scontata, ma in realtà rimanda a una questione essenziale: il Terzo settore è pronto al protagonismo dei giovani? Non si tratta, cioè, solo di aprire degli spazi dentro le organizzazioni ai giovani – che è un elemento già molto importante -, ma di aprirsi alle modalità organizzative dei giovani, ai loro linguaggi, alle loro priorità. Questo significa abbandonare anche alcune chiavi di lettura più tradizionali: i giovani chiedono una governance delle organizzazioni essenziale, snella, informale; l’attività di volontariato passa attraverso i canali digitali, ha caratteri temporanei e occasionali, si lega molto ai “luoghi” da rigenerare, parla nuovi linguaggi. Certo, il rischio è che si faccia più fatica a costruire azioni di grande impatto e a influenzare, così, le politiche pubbliche che, al contrario, si muovono lungo i binari delle “istituzioni”.
Quali segnali concreti di ricambio generazionale sta osservando all’interno del Terzo settore italiano?
C’è una fatica nel “ricambio generazionale”, è evidente. Ma è una fatica che non sorprende: le attività formative, le prestazioni lavorative, la contrazione degli spazi di tempo libero pongono un serio problema per le nuove generazioni nel “mettere a disposizione” tempo e competenze. È inutile abbandonarsi a recriminazioni – i giovani non partecipano! -, senza prendere atto che il ritmo di vita di un giovane, oggi, può essere frenetico, e con rischi di espulsione dal mondo del lavoro altissimi, se non si mantengono determinati standard. Rispetto alla generazione dei nostri genitori – figli del boom -, si tratta di un dato clamoroso. Sono venute indebolendosi, poi, tutte quelle linee di organizzazione della vita collettiva: partiti, sindacati, confessioni religiose, organizzazioni di categoria, movimenti di opinione, ecc. Aggiungo: persino il momento fino a cui si è giovani è cambiato. Oggi è “normale” ritenere i quarantenni ancora protagonisti dell’associazionismo giovanile. Già trent’anni fa, il limite era molto diverso.
La mia impressione, tuttavia, è che il ricambio generazionale si esprime attraverso il mutamento delle missioni e delle organizzazioni. Un ricambio che è, in realtà, cambiamento strutturale, quindi. La rigenerazione dei beni comuni è, a esempio, attualmente uno dei temi di maggiore impegno giovanile: azione locale, impatti più immediati, capacità di ibridare attività sociali, culturali e artistiche, governance agile. È anche il caso dell’impegno nella protezione civile, che si manifesta in modo palese quando avvengono calamità. Ancora, possiamo pensare al volontariato nei cosiddetti eventi locali come i festival nelle città. Questo può essere considerato un Terzo settore più “liquido”, ma certamente rilevante.
Vi è poi un Terzo settore imprenditoriale giovanile, che sta affacciandosi con esperienze molto significative. Questo mi pare coniughi iniziative di Terzo settore con l’esigenza di assicurare occasioni di lavoro e di crescita professionale. Non sono aspirazioni antitetiche nella prospettiva dei giovani: anzi, sono complementari. Non è, quindi, semplicemente un “lasciare spazio”, ma “riconoscere” che già esistono spazi nuovi. Una sfida epocale.
Che ruolo giocano le Fondazioni di origine bancaria, e Acri in particolare, nel sostenere questa transizione generazionale?
Le Fondazioni sono chiamate a leggere questi fermenti giovanili, accompagnarli verso percorsi di evoluzione con i tempi e con i modi che i giovani stessi definiscono, indirizzarli verso orizzonti ambiziosi. Il nostro ruolo lo definirei attraverso alcune domande: riusciamo a far fare ai giovani, che si impegnano in missioni che per loro hanno senso e danno prospettiva al loro futuro, un salto verso la trasformazione della realtà intorno a noi? Sappiamo renderli consapevoli delle sfide che sono chiamati ad affrontare, con le loro complessità? Non si tratta quindi, come dicevo prima, semplicemente di “lasciare spazio”, ma di “dare” spazi nuovi. Altrimenti rischiamo di vedere i giovani solo come destinatari di interventi. Certamente, come nel caso della formazione, lo sono. Si tratta, quindi, di immaginare nuovi scenari. Come Fondazione Caript, da diversi anni, stiamo proponendo un vero e proprio festival delle invenzioni – Sì… Geniale! – un concorso annuale aperto a tutte le scuole del territorio, dall’infanzia alle superiori, che coinvolge migliaia di studenti e insegnanti nella realizzazione di “prodotti d’ingegno” legati a scienza, arte, natura e nuove tecnologie. Un percorso impegnativo, pensato anche per stimolare il lavoro di squadra, la creatività, che ogni anno si arricchisce del contributo proveniente da ragazzi e insegnanti. Bisogna riconoscere che, nel corso del tempo, questa iniziativa si è trasformata per effetto di suggerimenti, indicazioni, desideri dei ragazzi e delle ragazze.
Anche Acri si sta muovendo in questa direzione. E proprio un’iniziativa come Gen P è occasione di riflessione sul valore del protagonismo giovanile. Al di là del premio in sé, infatti, potrà fornire una “mappa” per capirne i cambiamenti. Sarà un processo conoscitivo di rilievo.
Qual è, nella sua esperienza, il valore aggiunto che i giovani portano nella progettazione sociale e nella governance delle organizzazioni?
I giovani sono spesso portatori di uno sguardo più libero da vincoli, più aperto al cambiamento e più predisposto alla collaborazione intersettoriale. Hanno competenze digitali, capacità di lavorare insieme e una forte attenzione a determinate dimensioni della vita civile: pensiamo, a esempio, ai nuovi diritti e al tema delle modalità di espressione della personalità. Quando i giovani sono messi nelle condizioni di incidere davvero, sanno proporre modelli organizzativi innovativi, approcci partecipativi e strategie comunicative efficaci. Nella governance, generalmente, la loro presenza può aiutare a superare visioni autoreferenziali e a connettere le organizzazioni ai linguaggi e ai bisogni emergenti della società. Sono nativi digitali, la “connessione” fra territori, esperienze, linguaggi, biografie è, per loro, “metodo quotidiano”. Le organizzazioni possono trarne grande beneficio.
In Italia i giovani faticano a trovare spazio nei luoghi decisionali. Come si può facilitare la loro partecipazione attiva, anche oltre i progetti finanziati?
Servono due cose: dare riconoscimento e dare fiducia. Il riconoscimento passa dal dare voce e visibilità ai giovani non solo come “beneficiari” ma come protagonisti del cambiamento. Riconoscere pubblicamente l’importanza della loro presenza, l’essenzialità del contributo che possono portare, la trasformazione che reclamano. Quindi, occorre riconoscere loro anche un ruolo decisionale nelle organizzazioni. C’è poi la fiducia, che si traduce nella effettiva messa a disposizione di risorse e strumenti per sperimentare e anche sbagliare, dando loro tempi e opportunità che si concilino con le loro esigenze, aspirazioni, desideri, bisogni. Come Fondazioni possiamo favorire questo processo, a esempio rivedendo le nostre pratiche e non semplicemente coinvolgendo giovani nei tavoli di lavoro o nei comitati di valutazione come una episodica partecipazione di una “categoria”. Rivedere le pratiche significa incorporare il punto di vista dei giovani in ogni decisione: dall’allocazione del patrimonio alle scelte erogative, dai tempi dei bandi alla definizione dei temi prioritari, dalla rappresentanza negli organi alle interlocuzioni istituzionali. In ogni scelta, lo sguardo giovanile può portare un contributo.
Foto: Acri
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