Volontariato
Ma la solidarietà non “riguarda” il governo
L'attività dei diessini nell'esecutivo stride con il motto "milaniano". Dito puntato su immigrazione, carceri, obiezione di coscienza, guerra in Kosovo, sport sociale, tasse al
«Non si rimedia con le parole ciò che si è malinsegnato con i fatti». Eccolo qui, il don Milani scomodo. Quello che avrebbe dovuto far riflettere i vertici del Ds, il maggiore partito di governo, prima di farlo assurgere a proprio simbolo congressuale. Don Milani infatti è un modello che giudica, e giudica le azioni, non le parole e tanto meno le intenzioni. E proprio alla prova dei fatti, gli stessi politici e governanti che oggi ripetono trionfalmente I care ne escono piuttosto malconci. Provassero, ad esempio, a dire I care davanti ai centri-lager per clandestini e alla lunga scia di immigrati morti di freddo e abbandono. O dopo aver “dimenticato” migliaia di profughi kosovari, ricacciandoli nella clandestinità. «Speriamo che I care sia una scelta di coerenza per il futuro» dice don Elvio Damoli, presidente della Caritas Italiana. «Perché finora, più che una sintesi potrebbe essere un un augurio. Lo spero. Per i clandestini, che vanno finalmente trattati da uomini, e poi per i rifugiati: c’è una legge ferma da anni, e migliaia di persone in attesa di sapere che cosa sarà di loro. Forse il loro destino non “ci riguarda”?». Ma I care non sembra risuonare nemmeno nelle carceri italiane, dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno e le poche notizie che se ne hanno vengono accolte più con moti di sdegno che con l’urgenza di risolvere la situazione. Forse si è deciso di non “preoccuparsi” (sempre I care) per le 11 mila proteste l’anno, i 75 tentativi di suicidio al mese e i 17 atti di autolesionismo al giorno che accadono nelle carceri italiane. E invece tanto grande è l’identificazione tra intenti e azioni, che Pietro Folena, responsabile per la giustizia dei Ds, proclama: «Il nostro I care è un graffito, nella società in cui tante parole importanti non significano più niente. Mai come ora la politica è chiamata a fare scelte, a guidare processi». Sul fronte dell’obiezione di coscienza, poi, di cui don Milani fu teorico e precursore, la legge è approvata, ma non finanziata, e così già si sa che la metà degli obiettori nel 2000 rimarrà a casa. «Ormai non mi stupisco più di niente» dice Massimo Paolicelli dell’Associazione Obiettori Nonviolenti. «La scelta di don Milani come simbolo è un autogol. Abbiamo un governo che si dice pacifista dopo aver bombardato il Kosovo, e a favore del servizio civile dopo aver speso miliardi per l’esercito professionistico. I care? Si dovrebbe avere il coraggio di impugnare certe idee, e non usarle come maquillage per coprire le magagne». Magagne che comprendono anche un settore, quello dello sport, che da anni è appannaggio dei Ds, prima con lo stesso Veltroni e oggi con la Melandri. Qui le associazioni sportive di base (82 mila, frequentate da 5 milioni di giovani e gestite da 700 mila volontari) attendono un riconoscimento giuridico che permetta loro di non scomparire. E come non ripetere I care davanti allo scandalo dei baby calciatori extracomunitari comprati e venduti nel nostro campionato? “Me ne frego” è stata invece la risposta della ministra Melandri. «Spero che il vento di Seattle possa soffiare sul congresso» ha detto Sergio Cofferati. Sottintendendo il ruolo di interpreti dello spirito di Seattle dei Ds. Ma anche qui siamo al maquillage. «Macché vento di Seattle, piuttosto vento del Wto» dice Michele Boato dei Verdi. «Il ministro Fassino è sempre stato uno dei fedeli paladini della linea Wto, che ha definito uno strumento di democrazia. Poi devono avergli detto che la sua posizione non era popolare, ed è stato zitto. I care? Speriamo sia una premessa per cambiare…». E il ministro Visco? Anche lui è diventato un discepolo di don Milani. «L’ I care di Veltroni è la traduzione inglese di un bel pezzo del nostro modo di essere. La sinistra si è fatta carico» ha dichiarato a Repubblica l’11 gennaio. Sarà. Ma tra tante prese in carico, Visco ha scaricato la solidarietà e i suoi rappresentanti, le associazioni di volontariato. Proprio all’ostinazione del ministro, infatti, è da ascrivere quell’Iva al 20% che costringe le associazioni di soccorso sanitario a spendere decine di milioni per attrezzare le ambulanze. «Visco è coerente con se stesso quando agisce, non quando parla» dice Luigi Bulleri, ex deputato Ds e presidente dell’Anpas. «Con I care lui non c’entra niente. Se davvero volesse onorare il motto di don Milani, dovrebbe permetterci di lavorare».
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