Non profit

Ma non è tutta l’industria sotto accusa

di Redazione

Q uando si configura con chiarezza la volontà di uccidere? Quando si può parlare di omicidio volontario, anche se apparentemente tra le vittime e l’accusato c’è una distanza abissale, come quella che corre fra gli operai carbonizzati della Thyssenkrupp e l’amministratore delegato Espenhahn? A queste domande risponderà una giuria, a gennaio, e la sentenza stabilirà se le richieste dell’accusa, accolte nell’ordinanza di rinvio a giudizio, sono giuste e adeguate. Per ora è giusto registrare, direi con sorpresa, che per la prima volta, in un caso specifico, e non in generale, la magistratura si è posta fino in fondo il problema di valutare i comportamenti dei singoli, di fronte a un rischio evidente, grave, conclamato, più volte denunciato nel tempo. I documenti sono per certi versi agghiaccianti nella loro cinica lucentezza. Era un investimento “inutile” adeguare la linea 5 dello stabilimento di Torino alle norme antincendio richieste dalle autorità competenti, dal momento che l’attività era ormai incanalata verso la dismissione, la chiusura. Un rischio calcolato, dunque, secondo l’accusa. Un rischio enorme, vissuto ogni giorno solo dagli operai, però, non dai vertici dell’azienda, non da chi poteva decidere diversamente. Non è la stessa cosa di tanti, troppi, incidenti sul lavoro che spesso vedono fra le vittime anche gli imprenditori, artigiani o piccoli industriali. Ecco perché dispiace vedere oggi una difesa “di categoria” da parte di Confindustria, che giudica “esagerata” la richiesta di Guariniello, condivisa dalla Procura. Non mi pare davvero che si tratti di un’ordinaria storia di negligenza, di cattiva gestione della routine nei sistemi di sicurezza. La giustizia deve essere sempre correlata al singolo caso, e poi, ovviamente, una sentenza aiuta a cambiare la cultura di tutti. E a favorire, speriamo, un maggior senso di responsabilità. Anche questa, in fondo, è “responsabilità sociale d’impresa”.

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