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Ma su Katrina qualcuno ci aveva visto giusto

Li chiamano “cat bonds”. Cioè titoli emessi per proteggersi dalle conseguenze di catastrofi naturali. Negli Usa sono un business spregiudicato ma molto redditizio

di Christian Benna

Dopo Katrina arriva negli States l?uragano Ophelia e la finanza speculativa si esalta. Nel mercato dei capitali tutto ha un prezzo e tutto si può comprare. Incluso il tempo, o meglio le previsioni atmosferiche: come nel caso dei derivati sul clima delle maggiori città del mondo (per l?Italia c?è solo Roma), che sono quotati al Chicago Mercantile Exchange. E all?appello non potevano mancare le calamità naturali. Dal 1992, dopo le devastazioni provocate dal passaggio dell?uragano Andrew sulla Florida, le grandi compagnie di assicurazioni hanno scovato nuovi strumenti finanziari per diversificare il rischio dal surplus di pagamenti danni causati dalle catastrofi. Cedole al 15% Tra i veicoli di copertura spiccano i catastrophe (cat) bond: prestiti obbligazionari altamente redditizi (con cedole dal 5 al 15%) quanto volatili. Normalmente hanno durata di pochi anni, sono limitati a gruppi ristretti di grandi investitori (non più di 200) e sono circoscritti a determinate aree a rischio calamità naturale (Usa, Giappone, ma anche Europa). Se i danni di un ciclone o di un terremoto superano una certa soglia stabilita da contratto, il possessore di questi bond perde buona parte se non tutto l?investimento e il prestito rimane alla compagnia assicuratrice. In caso contrario staccherà a fine anno una ricca cedola intascandosi gli interessi maturati. Un affare che a prima vista sembrerebbe un terno al lotto, ma che è capace di scatenare gli appetiti di tanti operatori dal sangue freddo. In primis gli hedge fund. Questi fondi speculativi, spesso sulla graticola delle Authority per la scarsa trasparenza e la spregiudicatezza delle manovre sui listini delle Borse mondiali, hanno trovato terreno fertile nel ?mercato delle calamità naturali?. Ottimi investimenti quando l?uragano o il terremoto si tengono lontani dai centri abitati e industriali. Ma non solo. Spesso all?avvicinarsi minaccioso di un uragano gli investitori istituzionali (fondi comuni o fondi pensione) vendono i cat bond causando un ribasso dell?obbligazione. È tempo quindi di acquisti, rischiosi ma a prezzi stracciati. Insomma, il pane quotidiano di un fondo speculativo. E il business, anche se ancora di nicchia (nel 2004 erano 4,6 miliardi i cat bond attivi), funziona. Secondo Forbes, dal 1997 ad oggi nessuna delle 59 obbligazione emesse ha causato perdite, ma solo lauti guadagni. In base alle prime stime di Standard & Poor?s, gli investimenti in cat bond avrebbero retto anche all?urto dell?uragano Katrina. Tanto che già il 31 agosto gli operatori hanno potuto tirare i primi sospiri di sollievo. Il tesoro di Bermuda Così dalle macerie di New Orleans è uscito qualche vincitore. Il segreto? Spregiudicatezza a parte, gli investitori in cat bond si servono di software complessi e sofisticati, in grado di misurare la forza della calamità e prevedere i danni. E il management delle catastrofi ha trovato la sua roccaforte nelle Bermuda, dove a giugno si è tenuta l?ultima grande conferenza del settore. Dall?11 settembre 2001 nel piccolo paradiso fiscale sono affluiti oltre 12 miliardi di dollari per creare off-shore nuove imprese nel campo della riassicurazione. Un comparto in netta crescita, che va di pari passo con il diffondersi del terrorismo su scala globale e il ripetersi di catastrofi. Anche i Mondiali di Calcio 2006 in Germania, come le Olimpiadi di Atene, hanno emesso cat bond per prevenire la sciagurata ipotesi di cancellazione dell?evento. Nel vorticoso giro d?affari, la parte del leone è ancora una volta degli hedge fund. Non più solo investitori spericolati ma anche capitani d?impresa, diventando de facto gli assicuratori degli assicuratori. Come George Soros che è sbarcato in pompa magna nell?arcipelago delle Bermuda. Qui ha fondato Glacier Reinsurance per un investimento superiore a 300 milioni di dollari.


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