Non profit
«Mai vista una cosa del genere»
La testimonianza di Paolo Castellani, presidente delle Acli del paese andino
di Redazione

Paolo Castellani vive a Santiago da quando aveva 8 anni, emigrato con la sua famiglia da Prato. Oggi ha 66, è avvocato, e lavora come libero professionista. La notte di sabato 27 febbraio è stato svegliato dalla violentissima scossa di terremoto che ha devastato una parte del Cile. L’epicentro del terremoto è lontano 300 chilometri dalla capitale, ma la scossa ha fatto tremare eccome i palazzi di Santiago, «soprattutto per la sua durata, sembrava non finire mai». Castellani vive in un appartamento al tredicesimo piano: «Non si riusciva a stare in piedi, non potevamo camminare né scendere le scale, la luce era saltata. Un’esperienza tremenda, eppure non è certo il primo terremoto da quando sono in Cile. Ma di queste dimensioni mai».
Il presidente delle Acli cilene parla delle case nuove crollate per «difetti di costruzione», perché «ai Comuni è stata tolta la possibilità di esaminare i calcoli strutturali» e «tutto è stato lasciato all’onestà professionale degli architetti e degli ingegneri». Dice che «è una questione sulla quale il governo cileno e la società cilena dovranno indagare, e le persone coinvolte dovranno assumersi le loro responsabilità».
Ma i danni maggiori in termini di distruzione e di vite umane non sono stati provocati dal terremoto ma dallo tsunami, «anzi dagli tsunami, che si sono abbattuti a ondate successive su 150 km di costa, ad appena 20 minuti dalla prima scossa. Erano le 4 di mattina, la gente dormiva, interi villaggi di pescatori sono spariti sotto le onde, c’erano tantissime persone in vacanza nei campeggi». «Io credo – afferma il presidente delle Acli cilene – che non sapremo mai con esattezza il numero dei morti né quello dei dispersi».
Al momento non si registrano vittime tra i nostri connazionali. Ma «bisogna purtroppo ancora attendere per averne certezza. Questi sono ancora i giorni della sopravvivenza. Ci sono problemi enormi nelle comunicazioni. A Capitan Pastene, vicino all’epicentro, c’è un’antica comunità di italiani. Non possiamo escludere che ci siano connazionali tra le vittime del terremoto».
A Santiago le Acli, con il Comitato italiano di assistenza, sostengono 150 famiglie di connazionali. «Abbiamo incominciato a chiamarle per telefono per sentire se stanno tutte bene». Sono famiglie che per lo Stato cileno non risultano indigenti, in quanto hanno una casa, magari modesta, ma non hanno i soldi per pagare l’acqua, la luce e il telefono, le cure mediche. Di qui la rete di solidarietà, che si attivò circa un anno fa anche per il terremoto dell’Aquila. «Allora abbiamo radunato la comunità italiana e abbiamo avviato una raccolta di fondi». Ora è il Cile ad aver bisogno di aiuto. «Il governo cileno – afferma Castellani – in questo momento sta chiedendo fondamentalmente assistenza sanitaria, ospedali da campo, unità mobili per le dialisi. Credo che l’Italia possa fare molto in questo senso».
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