M ario frequenta il terzo anno delle superiori, ed è molto più alto dei suoi compagni. Fin dal primo anno, ha deluso nettamente le aspettative, molto alte, che i suoi genitori, entrambi dirigenti di una importante multinazionale, avevano posto in lui.
Forse per reazione alla situazione un po’ schiacciante che vive in famiglia, Mario usa un linguaggio aggressivo e violento nei confronti dei suoi compagni di scuola. Zittisce qualunque compagna gli dica qualcosa, minaccia di spaccare il muso a questo o quel compagno per un nonnulla. Da qualche tempo Mario sostiene che i maschi non possono fare lezione di educazione fisica con le ragazze: «Siamo troppo diversi, a pallavolo le stracciamo. E poi le nostre compagne sono stupide e brutte», continua a dire. A nulla valgono i miei tentativi di spiegargli che a scuola lo sport è per tutti, bravi e meno bravi, abili e disabili, e che non esiste uno sport per i maschi e uno per le femmine.
Che fare? L’occasione viene da un torneo di pallavolo promosso da un’azienda di scarpe sportive, che prendiamo al volo, in attesa che il ministero dell’Istruzione si decida a organizzare campionati studenteschi che durino tutto l’anno e non cinque partite, come avviene adesso per risparmiare. Il torneo è a squadre miste: tre maschi e tre femmine. Mario viene reclutato nella rappresentativa di istituto, affiancato sotto rete da Carlotta, sua compagna di classe, che a pallavolo gioca in una squadra di serie B. Durante il torneo Mario va in tilt, fa cilecca più volte e a fargli da “angelo custode” è proprio una ragazza, brava e attenta a recuperare tutti i palloni persi per colpa dei suoi svarioni. Carlotta, esperta in salvataggi sotto la rete, è micidiale anche nelle schiacciate, grazie ai movimenti coordinati e alla grande forza che scarica sulla palla. I punti fioccano, la squadra vince, Mario è contento e alla fine porta a casa la medaglia. E grazie a chi? A una ragazza, stupida e brutta, che a pallavolo lui «straccerebbe».
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