Non profit

Mi metto in corsa per ridare slancio a Banca etica

Ugo Biggeri si candida alla presidenza

di Redazione

La scelta sarà a maggio. Il presidente di Responsabilità etica è già sceso in campo. «Ci sono molte opportunità da cogliere, per far crescere il mondo che ci sostiene» Dopo i festeggiamenti dello scorso anno per il decennale, con l’inaugurazione a Padova di una nuova sede realizzata secondo i dettami della bioedilizia, quest’anno Banca Popolare Etica si prepara ad un altro grande appuntamento. Nell’assemblea dei soci in programma il prossimo 22 maggio, infatti, è previsto il rinnovo degli organi societari (consiglio di amministrazione, collegio sindacale e comitato dei probiviri) e l’elezione del nuovo presidente: Fabio Salviato, storico presidente fin dalla costituzione, concluderà il suo mandato, anche se il suo impegno per la banca proseguirà in altre forme.
Al nuovo presidente spetterà il non facile compito di proseguire l’eccezionale sviluppo dei primi dieci anni: quasi 33mila soci e 12 filiali su tutto il territorio nazionale, un capitale sociale di oltre 24 milioni di euro, raccolta per 636 milioni e finanziamenti per più di 540. Ma soprattutto c’è attesa per vedere se e quanto chi prenderà la guida deciderà di innovare rispetto alla condotta strategica fin qui seguita dalla banca.
Ugo Biggeri, che è stato fra i fondatori di Banca Etica ed è l’attuale presidente della Fondazione culturale Responsabilità etica, viene dato come il candidato favorito. Ha formalizzato la sua candidatura come si fa ai tempi del web 2.0, con una lettera postata sul suo blog in cui ha invitato i soci che intendono sostenerlo a raccogliere le firme necessarie.
Se verrà eletto, come sarà la Banca Etica del futuro? «C’è bisogno di ripartire con un nuovo sogno», dice Biggeri, «nel senso che si è in parte esaurita la spinta iniziale di fare una banca dove non c’era. Abbiamo dimostrato che era possibile. Ora occorre riprendere con slancio anche sugli altri sogni, in realtà già enunciati nello statuto della banca, cioè quelli di associazioni di persone che si interrogano su come fare economia in modo più responsabile».
Biggeri punta molto sull’importanza di parlare di Banca Etica come di un “noi collettivo”, come ha scritto nella sua lettera di autocandidatura. «Se è stato possibile fare una banca», afferma, «ora è possibile far lavorare questa banca ancora di più di quanto stia già facendo. Ci sono molte opportunità da cogliere, anche per far crescere quel mondo di persone e associazioni che hanno reso possibile fare Banca Etica, perché a loro volta mettano in moto meccanismi virtuosi di economia».
Nel suo programma, Biggeri solleva ad esempio la necessità di fare rete con altri soggetti per stimolare processi di innovazione sociale e finanziaria, di coniugare idealità, efficienza e coesione organizzativa, di avere un’attenzione speciale alla dimensione internazionale. E di innovare su aspetti quali i compensi degli amministratori. «È giusto che questi costi vengano esplicitati», spiega Biggeri, «una politica delle remunerazioni ci deve essere, questa ad esempio è una cosa su cui Banca Etica è rimasta un po’ indietro».
Come immagina i suoi primi 100 giorni? «Bisogna avere il coraggio di ascoltare molto», risponde, «sia i soci sia i dipendenti, che finora erano una parte trascurabile: oggi sono 240 e devono rientrare fra gli stakeholder in modo pieno. Poi mi dedicherei molto a fare squadra con il cda, per avere una governance più condivisa: non è una critica al passato, all’inizio era assolutamente necessario, però com’è ora fa un po’ da imbuto, dato che la macchina è molto complessa».
E se durante la sua presidenza, fatti i debiti scongiuri, dovesse ricapitare una crisi come quella scoppiata a fine 2008, dopo la quale si è parlato molto di una riforma delle regole che poi si è persa per strada, che ruolo potrebbe svolgere Banca Etica? «Credo che alla fine», conclude Biggeri, «sia necessaria un’attività di pressione di tipo legislativo, di cambiamento delle regole. Una delle cose da fare, a cui Banca Etica potrebbe contribuire, è lavorare molto perché il tema della responsabilità etica d’impresa sia una cosa veramente seria, con un controllo indipendente su chi autodichiara la propria responsabilità».

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