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Miracoli sul filo di cashmere

L'impresa umanistica di Cucinelli, industriale con l’anima. Un'utopia sociale che fattura 63 miliardi l'anno

di Roberto Copello

S arà l?aria pulita di queste colline? Sarà la natura calda e amica? Sarà l?arte che fa capolino da ogni angolo? Sarà il resistere di una tradizione di amore che risale a san Francesco? Insomma, cosa sarà che ha fatto sorgere proprio in Umbria un?azienda, o meglio un?esperienza di lavoro e di rapporti umani, unica al mondo? Questa è la storia di un miracolo, nel cuore dell?Italia più bella. Un miracolo economico, certo, ma soprattutto un miracolo. Forse impensabile nella grigia cintura torinese o nel nebbioso hinterland milanese. Oppure pensabile ovunque, solo che sorga un uomo dal carisma pari a quello di Brunello Cucinelli. Capace di far nascere questo fiore nel deserto delle relazioni aziendali, degli indici di produttività, delle strategie di mercato, degli aridi studi sulla valorizzazione delle risorse umane. Quanto scetticismo e supponenza c?erano nel centinaio di giornalisti, per metà tedeschi, che in settembre salivano a Solomeo, alle porte del capoluogo umbro. Si andava a visitare un?azienda leader nella maglieria in cashmere, e a festeggiare la fine di 14 anni di lavori di restauro del borgo medievale. Il solito ricco imprenditore che vuol celebrare se stesso, pensava qualcuno. E poi, cosa sarà mai questa ?impresa umanistica? che ci vuol presentare? Quale poi la sorpresa a vedere quest?impresa dove le operaie lavorano sotto affreschi medievali, mangiano in una mensa che sembra un ristorante, guadagnano più di altre colleghe allineate ai telai in grigi capannoni. Quale la sorpresa, a trovare un imprenditore dedito a cercare la felicità, sua e dei dipendenti. E che, nonostante ciò, guadagna, eccome se guadagna: 63 miliardi di fatturato 1999, 2 miliardi di utile, 160 dipendenti e 500 collaboratori, due terzi della produzione esportata (soprattutto in Germania). Un?utopia realizzata? Il paradiso terrestre dove lupo e agnello pascolano insieme? No, è solo la traduzione di alcune idee semplici e rivoluzionarie. Essere contenti del proprio lavoro. Produrre e guadagnare rispettando i dipendenti. Pensare al profitto come mezzo, non come fine, e dunque destinarne una parte ai dipendenti e un?altra alla comunità locale. «Sin da piccolo ho avuto un sogno», racconta Cucinelli. «Rendere più umano il lavoro, mettere l?uomo al suo centro. E qui siamo 160 anime pensanti, non 155 operai e 5 manager. Dicono che per fare impresa bisogna essere impietosi. Ma già il mio amatissimo Seneca diceva che l?impresa non è di tua proprietà: tu ne sei il responsabile ma essa appartiene al mondo. Io credo in un capitalismo più umano, dove si pensi meno alla finanza e più alla qualità del prodotto. Sì, sogno una ?impresa umanistica?. Però attenzione: la mia è comunque un?azienda capitalistica e ha regole ferree, tanto che mi chiamano ?il tedesco?. Detto ciò, dò ai collaboratori quel che vorrei da un padrone se fossi suo operaio. Forse per questo, qui nessuno sente il bisogno di sindacati: sarà che non ci sono neppure i cartellini da timbrare…». Ma chi è questo imprenditore dalla cordialità travolgente, che gioca a pallone con i dipendenti e che, prima delle benedizioni pasquali, dà alle lavoranti un giorno libero perché possano pulire la casa? Brunello Cucinelli è nato nel 1953 in un paesino umbro, Castel Rigone, terzo figlio di una famiglia operaia di solidi principi cristiani. Con gran fatica i genitori lo fecero studiare da geometra, ma il ragazzo preferiva le discussioni al bar e le partite a scopa, in cui era un maestro. «Memoria, concentrazione e rapidità di calcolo sono le chiavi del successo a carte», ricorda. «Le stesse della mia personalità di imprenditore: quella è stata la mia scuola di vita». Il giovane che da piccolo voleva farsi prete si iscrive a ingegneria, ma fatica a trovare la sua strada. E intanto, dai 17 anni, frequenta una ragazza di Solomeo, Federica, che ha un negozio di abbigliamento. Qui una mattina gli capita in mano un testo di Theodor Lewitt, economista di Harvard. Per Brunello è l?illuminazione: alla faccia della logica del profitto a ogni costo, Lewitt spiega che per un?azienda il cliente è la cosa più importante, che qualità e creatività non hanno prezzo, che chi produce deve concentrarsi su un solo prodotto, che il mercato va verso la globalizzazione. «L?effetto fu fulminante: alzai gli occhi sul castello diroccato di Solomeo e decisi che lì avrei sperimentato quelle idee». Gli inizi, nel 1978, sono da mitologia imprenditoriale. Brunello non ha soldi ma convince un maglificio a produrgli i primi cento capi, garantendo di avere già i clienti. Poi, siccome ha letto che i trentini sono gli italiani più puntuali nei pagamenti, parte per Trento, e piazza subito il campionario. «Il successo fu tanto celere che dovetti far credere di essere a capo di un?azienda ereditata dal babbo: 72 dipendenti, dicevo. Inveco facevo tutto da solo, e al telefono rispondevo con voci diverse. D?altronde anche Lindbergh, per farsi finanziare la trasvolata atlantica, si spacciò per pilota di una inesistente compagnia aerea…». Il successo arriva grazie alla ?cura amorosa? con cui Brunello segue i clienti, uno per uno. Precisione e puntualità gli consentono di sfondare anche sul mercato tedesco. Poi decide di puntare sul cashmere («Il suo calore mi fa pensare al calore dei sentimenti, sembra che abbia un?anima»). Ma perché limitarsi ai tradizionali colori beige, grigio e bordeaux, quando Benetton ha mostrato quanta voglia di colore ci sia nella vita di tutti? Cucinelli produce cashmere in tutti i colori dell?arcobaleno, e il successo è strepitoso: una scelta vincente, che «non richiese indagini di mercato, né analisi di interminabili quanto inutili tabulati». E dal 1985 torna a posare gli occhi su quel castello diroccato di Solomeo, il paese di Federica, nel frattempo diventata sua moglie (gli darà due figlie biondissime). È deciso: la nuova sede della ?Brunello Cucinelli? sorgerà lassù. Sono occorsi 14 anni di amorevoli lavori perché la rocca trecentesca, le viuzze, la chiesa, la villa, il parco settecentesco venissero restaurati. Ma oggi la scommessa è vinta. Mentre il sole scende dietro le colline umbre, i giornalisti tedeschi bombardano Cucinelli di domande, ma continuano a non afferrare il suo segreto: «Quale strategia aziendale ha applicato? Quali testi economici ha studiato?» E lui, a spiegargli che umanità e intuito possono più di mille fredde variabili economiche. Che nel processo produttivo si può immettere un surplus di amore non misurabile dai manuali. Ancora sul treno del ritorno, i tedeschi non capiscono, e certi italiani fanno abortire la nascente ammirazione adoperando lo scettico bisturi del ?realismo?. Come dire: «Quel che Cucinelli ha fatto è impossibile, anche se lo vediamo con i nostri occhi». E intanto, mentre dottamente citano i falliti esperimenti di Adriano Olivetti a Ivrea, non smettono di accarezzare, compiaciuti, il morbido maglioncino che ieri sera s?erano avvolti al collo, con la scusa che faceva freddo, e con il tacito accordo di restituirlo a fine serata…


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