Non profit
Nel bio-Tibetbcertificatobdal Dalai Lama
qui india Il boom del biologico nella comunità in esilio
di Redazione

Nel 2002 Sua Santità ha voluto che tutte le coltivazioni dei rifugiati tibetani abbandonassero pesticidi e concimi non naturali. Risultato?
Oggi i 25 insediamenti coinvolti sono vicini all’autosufficienza alimentare. E stanno persino aumentando
le vendite all’esterno
I l Dalai Lama torna alle origini e sceglie il biologico. E il governo del Tibet in esilio in India non ha perso tempo, dopo il suggerimento di Sua Santità, e ha dato indicazione a tutti gli insediamenti tibetani nel Paese di rinunciare completamente a pesticidi e concimi non naturali. Così dal 2002 tutti i contadini hanno incominciato ad adeguarsi e ora i tibetani d’India sono dei veri e propri esperti di biologico.
Dopo 40 anni – la diaspora iniziò nel 1959 – negli insediamenti i campi erano ipersfruttati, le falde freatiche impantanate e i problemi ambientali innumerevoli. «È stata una scelta anche coerente con i principi tibetani, ma non solo», racconta Elisa del Vecchio , dell’ong Cospe, che in questi insediamenti porta avanti un progetto proprio incentrato sulla valorizzazione dell’agricoltura biologica «Dagli anni 60 i rifugiati si sono adattati agli usi agricoli stranieri, utilizzando concimi chimici e le tecnologie convenzionalmente diffuse, che hanno portato con sé molte conseguenze negative, tra cui anche una diminuzione dei raccolti».
È dal 97 che il Cospe lavora con i tibetani. Un primo progetto di transizione verso il biologico era già stato ideato prima del 2002, ma la scelta della guida spirituale buddista ha accelerato le cose. «Era stato ipotizzato un passaggio più graduale, ma l’importante è che la decisione del dipartimento dell’Agricoltura sia andata nella direzione auspicata dal progetto». L’impegno delle comunità è di creare un sistema di coltivazione tradizionale che dia anche nuove opportunità ai giovani per non andare a cercare fortuna all’estero. «Con l’agricoltura biologica, amica dell’ambiente», racconta Tenzin Yega , della Federazione delle cooperative tibetane, «diamo un contributo per migliorare le condizioni di vita delle nostre future generazioni».
I 25 insediamenti stanno lavorando per raggiungere l’autosufficienza alimentare. Un obiettivo non semplice, visto che dai 26.600 del 1959, oggi i tibetani sono passati a 61.700, e il numero di coloro che fuggono dalla Cina aumenta ogni giorno. «Per ora i nostri prodotti vengono consumati dalle famiglie dei contadini e il resto del raccolto è venduto dentro la comunità. Con un consistente aumento dei terreni coltivati saremmo in grado di sfamare tutti i tibetani in India». Per Yega c’è un altro lato positivo: «Esiste un grande mercato potenziale per i prodotti biologici».
Servirebbero molti più fondi da investire per acquistare nuove terre, aumentare i raccolti ed essere competitivi, ma già oggi i tibetani prendono parte a fiere e sagre sparse per l’India (e non solo) per pubblicizzare i propri prodotti e la propria esperienza. Uno dei problemi più importanti che hanno dovuto affrontare è stata però la mancanza di competenze. Gli agronomi locali scarseggiano, molti sono andati in America e i pochi rimasti sono tentati di fare altrettanto: «Non avevamo le conoscenze nella coltivazione biologica, né le tecnologie o le macchine adatte. Ma l’esperienza che abbiamo acquisito ci permetterà di portare la pratica anche in Tibet senza molte difficoltà». Uno degli scopi di questo ritorno al biologico sta nel preservare gli insediamenti stessi, l’ultimo baluardo della cultura e delle tradizioni tibetane, schiacciate in patria dalla propaganda cinese e scomparse nelle comunità all’estero. In India invece continuano a vivere, come delle piccole enclavi del Tibet. Biologiche.
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