Non profit

Nel crocevia del sesso la tratta non conosce crisi

di Redazione

Cinque uomini, pieni di muscoli gonfiati in palestra e di tatuaggi sulle braccia e sul collo, controllano con sguardi taglienti ogni movimento. Siedono intorno al tavolino vicino alla cassa mentre nel locale risuona a tutto volume un pezzo di musica dance. Sul palco alcune ragazze coperte da minuscoli costumi di pizzo ballano con movimenti meccanici intorno a dei pali. Poi si avvicinano agli avventori del locale sprofondati sui divanetti e ballano a stretta vicinanza di ognuno di loro, in modo provocante, meccanico, triste, vuoto. Chi vuole può offrire un drink alle ballerine, per fare due chiacchiere. È così che conosciamo Joana (nome di fantasia), una ragazza kosovara. Parla bene l’italiano perché fa la spola tra la Macedonia e l’Italia. Abita nelle Marche, in una cittadina della riviera. Joana non è più giovanissima, ha lo sguardo scavato dalla stanchezza. «In Macedonia c’è molto lavoro soprattutto durante i periodi di vacanza, quando tutti vengono a divertirsi. Ma tra poco torno in Italia, e mi porto dietro anche due colleghe ballerine che lavorano qui con me». Ci lascia il suo numero di telefono. Quando siamo fuori dal locale insiste perché l’indomani la contattiamo. «Dopo i controlli della polizia, qui sono cambiate molte cose», ci spiega con un sorriso. Poi guarda verso il gruppetto di uomini muscolosi che gestisce il locale. Il tempo è scaduto, se vogliamo trattenerla ancora un po’ con noi dobbiamo pagarle ancora da bere. Le altre sue colleghe, molto più giovani di lei, si intrattengono con gli avventori sparsi per il locale.
Joana lavora in un night, uno dei tanti che lampeggiano con le loro luci al neon sul bordi dell’autostrada Alessando Magno, fra le città di Tetovo, Gostivar, fino a Velesta, nella Macedonia dell’ovest. L’area è un autentico crocevia della prostituzione balcanica. Vi convergono ragazze macedoni, albanesi, serbe e kosovare, alla ricerca di un lavoro. Sono giovanissime, in molti casi minorenni. Nella zona l’infiltrazione di gruppi mafiosi d’etnia albanese è radicata da decenni. Sono quasi ottocento le donne che in dieci anni la polizia macedone è riuscita a strappare al traffico di esseri umani. Le ragazze arrivano nella regione per fare le hostess. Ballano la lap dance. Oppure cantano per tutta la sera in mise striminzite canzoni pop albanesi. Vivono sotto l’occhio dei padroni. Nella squallida movida dei locali notturni è difficile distinguere tra chi decide di prostituirsi volontariamente e chi si ritrova prigioniera dei boss.

Business da brivido
Prima erano soprattutto ucraine, moldave, bulgare ad arrivare in Macedonia e da qui, in gran parte, a proseguire il proprio viaggio verso i marciapiedi italiani. Poi, con l’entrata della Romania nella Comunità Europea, nel 2004, dai Paesi dell’Est la tratta della prostituzione ha puntato direttamente verso Bucarest, e la Macedonia ha smesso di essere uno snodo cruciale sulla rotta per il Nord Europa. Oggi le ragazze che lavorano nei locali provengono tutte dal territorio macedone o dalle nazioni confinanti. E a cadere vittime dei trafficanti sono soprattutto le minorenni, ingenue e indifese. «Dal 2006 a oggi abbiamo salvato un centinaio di donne. La stragrande maggioranza, otto su dieci, aveva meno di 18 anni», spiega il comandante Sande Kitanov, capo della Unità per il contrasto del traffico di esseri umani e dell’immigrazione illegale in Macedonia. «C’è poi il mercato della prostituzione domestica, che rappresenta la parte più grande e sommersa del fenomeno, difficile da monitorare. Dentro cui si annidano sicuramente altre realtà di usurpazione e costrizione».
Ma il problema non è solo interno alla Macedonia. Dai locali di Gostivar e di Velesta, alcune donne continuano a trasferirsi in Europa per essere ridotte in schiavitù: in Germania, Belgio, Francia, e anche in Italia. «L’anno scorso, per esempio, c’è stato il caso di diverse ragazze rom convinte da loro connazionali ad andare all’estero con la scusa di un buon matrimonio combinato. Qui queste donne, invece, si sono trovate segregate in appartamenti», racconta Suzana Zakovska, capo dell’ufficio di Skopje dell’Oim – Organizzazione internazionale per le migrazioni. «E questi sono solo i casi individuati, dietro ai quali ne esistono tantissimi altri che rimangono nell’ombra».
Le donne liberate dal giogo della prostituzione sono ospitate nella casa d’accoglienza di Gazi Baba, una struttura adiacente al centro per migranti irregolari. Qui il governo, tramite la ong Open Gate/ La Strada, provvede alla loro assistenza sanitaria, psicologica e al loro reinserimento sociale. L’impegno del governo macedone e della polizia è serrato. Nel 2011 le forze dell’ordine hanno arrestato 25 persone per sfruttamento della prostituzione e hanno portato a termine una serie di operazioni contro il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Sono stati chiusi vari night club dove delle serbe e delle kosovare lavoravano prive di documenti di soggiorno e 67 uomini sono stati arrestati. Ma per un locale che chiude, ce n’è un altro che riapre. «Il turismo è massiccio, soprattutto d’estate, quando tornano a casa tutti gli immigrati albanesi sparsi per l’Europa e arrivano anche italiani, francesi e inglesi a farsi il giro dei locali e delle ragazze, tutta la notte», racconta un ristoratore nel centro di Gostivar, che ci indica almeno un paio di go-go bar, a due passi dalla sua tavola calda.

Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?

Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it