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Noir cioè sociale

Dora Nera è la prima rassegna della città di Torino dedicata alla cultura noir in tutte le sue sfumature: dalla letteratura al cinema. Interamente gratuita, si svolge dal 10 al 12 novembre e quest’anno ha uno sbocco sociale

di Ilaria Dioguardi

Dal 2021 per tre giorni si alternano tavole rotonde, reading, performance musicali e proiezioni cinematografiche, nell’ambito del festival Dora Nera. In corso fino a domenica 12 novembre nell’Oratorio San Filippo Neri di Torino, a pochi passi dal Museo Egizio, presenta la sua prima pubblicazione Il destino non è un finale già scritto, nata dall’incontro tra scrittori e storie di vulnerabilità sociale. Ce ne ha parlato Stefano Cosmo, uno di loro.

«Nel suo affermare che nessuno è al sicuro, e che la società non è più quella madre affettuosa e protettrice con cui ci hanno incantato per anni, il noir dice la verità». Parte da queste parole dello scrittore Piergiorgio Pulixi l’urgenza di dare uno sbocco sociale al Dora Nera, capace in questi anni di raccontare la vita reale e le sue storture, con il limite di non aver ancora dato voce diretta alle storie e alle lotte di chi vive quelle contraddizioni sulla propria pelle. Nella scorsa edizione il festival ha intrapreso un percorso di collaborazione con la Casa di Ospitalità femminile gestita a Torino dal Gruppo Abele, onlus fondata e presieduta da don Luigi Ciotti, in convenzione con la città di Torino. Questa collaborazione ha portato lo scorso anno alla creazione di un gruppo di lettura per 11 donne senza fissa dimora ospiti della struttura, verosimilmente primo caso strutturato in Italia. Con il supporto e il coordinamento di due operatrici, due volontarie e un’arteterapeuta, le donne hanno fatto un lavoro di lettura e interpretazione sui testi della scrittrice Alice Basso, sfociati in due momenti di incontro con l’autrice, e ha lavorato sui romanzi del ciclo di Blanca, scritti da Patrizia Rinaldi.

Cinque tra scrittori e scrittrici di ogni parte d’Italia (Sara Bilotti, Marco Belli, Stefano Cosmo, Enrico Pandiani, Patrizia Rinaldi) hanno incontrato cinque storie di vulnerabilità sociale e, a partire dall’incontro con queste storie, hanno scritto dei racconti inediti che sono confluiti all’interno della pubblicazione dal titolo Il destino non è un finale già scritto, la prima a marchio Dora Nera. Uno degli scrittori che ha preso parte a questo progetto è Stefano Cosmo (il suo ultimo libro è Dentro la gabbia, Marsilio), che dal 2007 lavora nel sociale come operatore di strada in un progetto che si occupa di vittime di tratta.

Cosmo, nell’introduzione al libro Il destino non è un finale già scritto, Piero Ferrante afferma: «Questo libro è figlio di un progetto che ha come obiettivo quello di essere un’alternativa». E ancora: «Abbiamo provato a testare il  grado  di dirompenza  che  ha  la  letteratura  quando  sfugge  al controllo dei festival, alla compostezza degli scaffali delle librerie, alle norme del mercato, all’urgenza di vendere,  alle  classifiche  di  Amazon,  per  insinuarsi  nei luoghi di conflitto (sociale e intimo)». Può parlarci di questa pubblicazione a cui ha preso parte?

Io e altri miei quattro colleghi abbiamo preso una storia che avesse un contenuto sociale e che partisse da una storia vera, di persone che hanno vissuto sulla loro pelle determinate situazioni che le hanno portate a diventare beneficiari dei servizi di prossimità o a bassa soglia. Nel caso di Torino c’erano alcune storie che sono state adottate dalla Casa dell’Ospitalità: si sono prese storie di donne ospiti presso questa struttura e si è cercato di cambiare il finale costruendolo insieme a loro. Rispettando, allo stesso tempo, le regole del genere noir. Gli altri quattro scrittori hanno preso una storia della Casa dell’Ospitalità, io ho preso una storia dell’ambito di cui mi occupo, che ha a che fare con le vittime della tratta e dello sfruttamento di esseri umani.

Stefano Cosmo, uno degli autori del volume Il destino non è un finale già scritto (Dora Nera)

Prima di essere uno scrittore, lei è un educatore

Sì, sono un educatore da 17 anni, lavoro in una cooperativa che si chiama Equality nel progetto Network Antitratta Veneto Intersezioni Governance Azioni Regionali, N.A.V.I.G.A.Re, che ha come capofila la regione Veneto e si occupa dell’identificazione di potenziali vittime di tratta e/o grave sfruttamento presenti sul territorio. Da qualche tempo a questa parte abbiamo cominciato a lavorare molto con l’indoor, il fenomeno della prostituzione si è spostato molto al chiuso. La storia che racconto parte da una persona che ha subito una situazione di grave sfruttamento nell’indoor, lontano dalle strade. Fa parte di quell’utenza meno visibile, ma non per questo meno vulnerabile. Ho cercato di collocare la storia all’interno del genere noir, cambiando il finale, romanzandoci un po’, ma con una base profonda di verità. Ovviamente condividendo con la persona e cambiando nomi e riferimenti che potessero condurre alla sua identità. Quello che è stato interessante è stato vedere l’evoluzione, l’happy ending non sempre c’è. Nel corso della stesura del racconto, è uscito fuori che le esperienze vissute dalla persona l’hanno portata a non reggere un percorso di vita ordinario. Spesso purtroppo il vissuto delle vittime di tratta e di sfruttamento della prostituzione comporta tutta una serie di problematiche sociali. Ad esempio, la persona che ha subito una condizione di grave sfruttamento nell’ambito dell’indoor può darsi che abbia sviluppato anche delle dipendenze da sostanze stupefacenti, ci si può ritrovare anche con problemi di salute gravi, con malattie come l’Hiv, che non è scomparso. Siamo abituati a inquadrare il sociale per categorie prestabilite. La vita le fa saltare. Ad esempio, le ospiti nella Casa dell’Ospitalità hanno avuto o hanno problemi di alcolismo e/o di prostituzione. Ecco che c’è la complessità delle storie e ci sono prese in carico integrate. Purtroppo di questo se ne parla poco e male. Per questo abbiamo voluto lavorare con questi racconti sul contrasto delle categorie.

La parola scritta serve a lanciare dei messaggi, in questo caso?

Assolutamente sì. Viviamo in un’epoca di depersonalizzazione assoluta, si parla del tossico, del senza fissa dimora, della prostituta. Non si parla più di Mario, Lucia, Jennifer, ma per categorie, così si perde il riferimento della persona e l’umanità. È importante avere un approccio non pietista, ma un approccio utile per tutti: si porta un beneficio alla società se ci si occupa delle persone più fragili ed emarginate. Attraverso questi racconti abbiamo voluto lanciare un messaggio: dobbiamo andare oltre il concetto di vittima, che è passivo. Bisogna andare oltre la narrazione della persona in balia degli eventi. Attraverso le storie abbiamo voluto raccontare storie di soggetti attivi, che riprendono in mano le proprie vite, da protagonisti.

Attraverso la scrittura possiamo dare una tridimensionalità ai titoli di giornali che leggiamo

Stefano Cosmo

Quanto è importante la scrittura in generale? Quanta responsabilità ha?

La scrittura ha una potenza e una responsabilità incredibili, che è quella di raccontare le storie. Le storie hanno sempre cambiato il mondo, che ci piaccia o no. Attraverso la scrittura possiamo dare una tridimensionalità ai titoli di giornali che leggiamo. Grazie alle storie, possiamo comunicare qualcosa ai lettori, portandoli dentro la vita delle persone, in una connessione intima. Nel momento in cui si è ottenuta la connessione, non si capisce solo la storia di una persona, ma un fenomeno. Ad esempio, la trilogia di Don Winslow, iniziata con Il potere del cane, proseguita con Il cartello e Il confine, attraverso la storia del protagonista Art Keller e degli altri personaggi, chi legge quelle storie si fa un’idea della complessità di quel mondo, di come la famosa lotta alla droga l’abbiamo già persa 30 anni fa. Questa è la potenza delle storie ed è anche la responsabilità di chi scrive: di non lasciarsi andare al qualunquismo, di non lasciarsi andare a giudizi ma di agire secondo la regola Show don’t tell, Mostra non dire. Nell’epoca di Twitter, spesso ci troviamo di fronte a un clima di odio, le storie di persone hanno una potenza mostruosa nel far comprendere l’altro e che ci sono molte connessioni tra quelli che definiamo “noi” e gli altri. Ad esempio, si parla spesso di migrazioni ma si vanno a indagare poco le cause. Ecco che, se attraverso i personaggi che raccontiamo, andiamo a vedere le cause che li hanno spinti a intraprendere un viaggio rischiosissimo, vediamo che forse un ruolo l’abbiamo avuto anche noi, come ricca società occidentale. 

Foto ufficio stampa Dora Nera/Ezio Genitoni


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