Non profit

Non autosufficienza, le ricerche e le assicurazioni non bastano

di Redazione

I dati presentati dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sulla non autosufficienza sono allarmanti, ma da tempo conosciuti. Ritengo, peraltro, che le cifre indicate dal rapporto non diano l’esatta dimensione del fenomeno presente nel nostro Paese. Le fonti interpellate sono autorevoli ma non tengono conto del sommerso e della condizione di riservatezza in cui vivono tante persone e famiglie che affrontano il dramma della non autosufficienza quasi in solitudine. Normalmente il riferimento principale per le indagini di questo tipo è l’indennità di accompagnamento erogata, che non dà l’esatta consistenza del fenomeno in quanto essa si rivolge solo alla invalidità totale (al 100%) e non indica le altre forme che hanno effetti altrettanto rilevanti per le persone che ne sono affette. Non è un caso che tra le indicazioni d’intervento previste dalla legge 328/2000 vi era anche quella di fare un osservatorio nazionale sulla non autosufficienza nel nostro Paese.
Il punto, comunque, è anche il tipo d’intervento che un governo responsabile intende realizzare per affrontarlo in modo adeguato.
Nel rapporto presentato dal ministero delle Politiche sociali si indica una via che solleva non poche perplessità. Si può, infatti, condividere l’idea della lotta agli sprechi ed una più fattiva collaborazione tra pubblico e privato; ma appare assolutamente irricevibile la proposta di un utilizzo dei prodotti assicurativi come strumento per affrontare il tema della non autosufficienza.
In altri Paesi europei, da tempo, i governi hanno predisposto misure d’intervento mirate alla tutela dei diritti universali delle persone non autosufficienti e in molti Paesi lo strumento adottato non è quello del sistema assicurativo ma, al contrario, forme d’intervento integrato tra sanità e sociale e tra il pubblico e il privato. Dimostrando in questo una grande sensibilità ed attenzione verso un modello di intervento sociale in grado di conservare caratteristiche universalistiche ed inclusive.
Una via, quella paventata dalla ricerca che, alla fine, rischia di portarci, come evidenziato da Giuseppe Frangi in un recente editoriale, ad un welfare sempre più selettivo che produce una forte marginalizzazione delle fasce più deboli della nostra società.
Dunque, anche la collaborazione richiesta tra il pubblico e il privato non può essere accolta in una logica compassionevole e/o filantropica, ma nell’ambito di una sussidiarietà orizzontale ben declinata e nella quale tutti i soggetti istituzionali e sociali devono svolgere per intero la loro parte.

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