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Non basta individuare i Lep per rendere omogenee le prestazioni al Sud

Parlare di autonomia differenziata per la Sicilia e il Sud significa ripensare il senso della specialità e fare in modo che i Livelli essenziali di Prestazioni rispondano ai principi di uguaglianza dettati dalla Costituzione. Per Giuseppe Verde, professore ordinario di Diritto Costituzionale al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, le regioni non vanno immaginate come satelliti che girano attorno allo Stato, ma come soggetti in cui i cittadini possano essere partecipi della cosa pubblica

di Gilda Sciortino

Di cosa parliamo quando il tema di attualità è l’autonomia differenziata?

«Intanto partiamo dal dato costituzionale che prevede, accanto a regioni speciali come Sicilia, Sardegna, Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Altro Adige con le due province autonome di Trento e Bolzano, quelle ordinarie. La Costituzione, all’articolo 116, contempla la possibilità che queste ultime possano conquistare un po’ più di autonomia rispetto alle altre sulla base di un percorso definito, un modello che deriva dal testo. Ora alcune regioni, lo sappiamo perché inserito nell’agenda politica del governo, hanno avviato un percorso finalizzato a conquistare queste nuove dimensioni di autonomia. Autonomie che poi possono essere declinate in riferimento alle competenze indicate nella stessa Costituzione. È chiaro che il discorso presenta aspetti di tecnicità non definibili attraverso un semplice articolo, ma tengo a sottolineare che ci sono dei territori che hanno avviato un percorso richiedendo una maggiore autonomia regionale e che, dietro a questo orizzonte, si intravede un dato».

Non è, infatti, un caso che questa proposta provenga da territori in cui insiste un circuito finanziari particolarmente stimolante, che non presenta problemi significativi, quindi tutta la questione oggi ruota intorno ai risvolti economici che possono influenzare questo percorso.

«Diciamolo subito – aggiunge il prof. Verde -, è chiaro che il reddito prodotto in alcuni territori è di gran lunga superiore a quello di altri e l’individuazione di questa ricchezza divide ancora una volta richiamando il problema del Meridion Mentre al Nord, da questo punto di vista, abbiamo una realtà estremamente interessante, al Sud ci sono grosse difficoltà a sbarcare il lunario, tema che tornerà a essere affrontato nelle vicende che riguarderanno questa nuova forma di autonomia».

Da cosa passa l’attribuzione di queste nuove forme di autonomia?

«Passano attraverso la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni. Per essere sintetici e provare a esser chiari, sappiamo che i diritti contemplati dal testo costituzionale sono diritti che hanno un significato solo se da essi ne derivano prestazioni di cui i cittadini posso avvantaggiarsi, come la salute e l’istruzione. Il discorso che stiamo portando avanti in questi giorni è cercare di immaginare dei Livelli di prestazioni pubbliche, connessi ai diritti contemplati dalla nostra Costituzione, che ci si augura possano essere tutelati, applicati, salvaguardati con la stessa intensità su tutto il territorio nazionale. Da qui nasce un percorso che debba prevedere la definizione di questi Livelli essenziali di prestazioni. Non è assolutamente semplice perché nella legislazione di recente i Lep sono stati introdotti in riferimento alla necessità di avere un certo numero di asili nido, mentre per altre materie, in altri settori, manca questo riferimento e si dovrà aspettare che si producano studi e ambiti di riferimento, come anche che la politica assuma le sue decisioni per definire tutto questo. Peraltro, la legge di bilancio di quest’anno immagina l’istituzione di una commissione che amalgami l’attuazione di questo regionalismo differenziato, una commissione che dovrà lavorare proprio sui Lep».

Diversi, ma ben precisi, i punti su cui riflettere.

«I vari ambiti dipendono dai singoli accordi che le Regioni prenderanno con lo Stato, ma il dato da subito significativo è che sono tante le materie su cui si può attivare la differenziazione. Per fare l’esempio della salute e dell’istruzione, prima di definire dobbiamo immaginare quale può essere il livello della prestazione sanitaria per curare una polmonite, quindi stabilire che in tutto il territorio nazionale chi ne è affetto riceverà la medesima prestazione da parte di tutti i soggetti coinvolti nella garanzia della salute. Pertanto, teoricamente, non ci dovrebbe essere nessuna differenza nella cura tra un cittadino siciliano, uno veneto o uno lombardo, territori questi ultimi che più pressano per la differenziazione. È chiaro che il Livello essenziale di prestazione è un elemento di uguaglianza su base minimale e non possiamo escludere che la regione interessata a quel livello, nel caso in cui abbia delle risorse proprie, possa aggiungere delle prestazioni che altre regioni non saranno in grado di assicurare. Noi che viviamo al Sud sappiamo benissimo che rompersi una gamba al centro della Sicilia non è la stessa cosa che subire un infortunio magari vicino Abano Terme. Il dato economico è significativo di una situazione di deficienza strutturale perché ci dice che non basterebbe l’individuazione di un livello essenziale di prestazione per rendere omogenee le prestazioni stesse. Lo dico perché in questo incidono le condizioni degli ospedali: se sono stati costruiti bene o meno, se i medici sono stati reclutati nella maniera più corretta, se gli infermieri sono bravi, se le sale operatorie sono state attrezzate in modo decoroso. È chiaro che scontiamo un peso storico, ma è altrettanto chiaro che la Costituzione non sostiene solo l’autonomia differenziata, in quanto afferma in modo prepotente il principio di uguaglianza, formale e sostanziale. Non basta, infatti, dire che la polmonite si cura con tre pillole e una radiografia; bisogna essere certi che le tre pillole ci siano e che l’impianto per la radiografia sia funzionante in ogni parte del Paese. Su questo, onestamene, una serie di punti interrogativi, di incertezze, ci sono e riguardano la storia del nostro modo di essere o come abbiamo interpretato la nostra autonomia».

Quali i punti positivi e quali negativi da sottolineare?

Intanto voglio guardare con un piccolo entusiasmo a ciò che ci attende, ma mi riservo di sollevare rilievi critici tutte le volte in cui uguaglianza e unità della Repubblica verranno messe in dubbio da scelte politiche che, più che sviluppare logiche di solidarietà, introducano elementi di differenziazione ed egoismi che non fanno bene al Paese.

Positiva mi sembra la voglia di sottolineare la valorizzazione della dimensione dell’autonomia e di immaginare le regioni non come soggetti satelliti che girano attorno allo stato senza capire bene cosa devono fare, ma come soggetti attraverso i quali si possa costruire un ordinamento autenticamente democratico in cui i cittadini siano partecipi della cosa pubblica.

L’aspetto negativo sono le incertezze che attengono ai rapporti finanziari, alle risorse economiche, a fronte di un Sud del Paese che ha un enorme bisogno di risorse e che ha problemi strutturali storici che andrebbero, non dico risolti, ma per i quali si attivi un percorso che voglia provare a dare qualche risposta.

Per il Sud, per i siciliani in modo specifico, l’autonomia differenziata potrebbe essere un’occasione?

Assolutamente sì. Può essere un’occasione per ripensare il senso della specialità, il suo declino, gli effetti che ha prodotto. Si apre un periodo di discussione che, al momento, immagino utile per il Paese. Non so a cosa si potrà approdare, ma speriamo che la prudenza e il rispetto dei principi costituzionali, soprattutto quelli di uguaglianza e indivisibilità della Repubblica, possano essere i fari con cui illumineremo il tavolo delle negoziazioni tra lo Stato e le Regioni.